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Eugenio Sournia: Io un outsider, amo Tenco ma Ciampi fu “pop” nella sua epoca

Eugenio Sournia è il vincitore nella categoria nazionale e miglior cover del Premio Piero Ciampi 2023. Un edizione intitolata “Dalla parte degli outsider” che ha ricordato la figura di  Franco Carratori. Per la prima volta il Premio Ciampi viene vinto da due artisti livornesi Piero Ciampi e Giorgio Mannucci. Sournia, cantautore di pregevole talento, ha da poco pubblicato il suo primo album da solista “Eugenio Sournia”. Outsider e amante dei Luigi Tenco analizza il suo rapporto con la città di Livorno decantando l’animo controverso e irriducibile di Ciampi, genio creativo profondo e intelligibile.

Eugenio un doppio riconoscimento che ti vede trionfare nella categoria concorso nazionale e anche quella nella miglior cover insieme a Giorgio Mannucci e Matteo Troilo. Da livornese, qua l’è significato rappresenta ricevere il Premio Piero Ciampi?

Mi sento sicuramente livornese più che toscano, forse addirittura più che italiano. Mio padre è francese, mia madre romana di origine sarda; Livorno è la mia patria di elezione, quella che davvero ho scelto. È difficile essere profeta in patria, confesso di non essermici mai particolarmente sentito anche perché nel corso degli anni è forse mancata un po’ una “scena” musicale a supportare gli artisti emergenti, che si sono sempre ritrovati in tante piccole conventicole disunite e non in grado di formare un blocco unitario. Questo premio rappresenta per me un modo per sentirmi finalmente  riconosciuto nella città che amo così tanto, e soprattutto per le mie qualità di “outsider”, qualifica alla quale ho sempre ambito; lo stesso Piero Ciampi, del resto, in vita è stato addirittura deriso dai contemporanei.

Per la sezione cover, hai scelto “L’ultima volta che la vidi”, uno dei primissimi 45 giri di Piero Ciampi, del periodo parigino dove veniva chiamato L’italianò. Come mai hai optato per questo brano?

Il mio cantautore preferito, tra quelli più universalmente riconosciuti, è sempre stato Luigi Tenco; trovo che questo brano di Ciampi rappresenti, in qualche modo, una sorta di mediazione tra la poetica dell’artista livornese e quella più “tenchiana”. Nel corso della sua carriera Ciampi è poi evoluto verso una forma canzone più particolare, più sghemba, ma trovo che ne “L’ultima volta che la vidi” queste caratteristiche si sposino perfettamente con una dinamica più classica, da canzone d’amore tout court. Trovo poi il testo particolarmente stimolante: il senso di alienazione del protagonista innamorato ha degli echi petrarcheschi che si mescolano con riferimenti più concreti. Insomma, un pezzo considerato “minore” nella discografia ciampiana che a mio avviso meritava ben altra attenzione.

Da artista e cantautore, la figura iconica di Piero Ciampi, che valore incarna?

Piero Ciampi potrebbe essere assimilato facilmente, e in maniera a mio avviso un po’ “ante litteram”, a certe figure della discografia underground degli anni 80’ e 90’. Tuttavia, in Ciampi, trovo che l’essere “alternativo” non sia mai stata una questione di scelta o di posizionamento volontario, ma semplicemente l’esito del suo naturale modo di essere. L’artista livornese infatti ha sempre cercato di essere intelligibile, di essere “pop” nella misura in cui questo aveva un senso nella sua epoca; semplicemente la sua profondità ma anche la sua complessità irriducibile non lo hanno mai portato a far breccia sul vasto pubblico che probabilmente avrebbe desiderato. Ecco, in questo mi sento simile a lui: non ho mai voluto far parte di una nicchia sperimentale o dotata di rigidi codici espressivi, ho sempre avuto l’ambizione di piacere, se non a tutti, alla porzione di pubblico più ampia e traversale possibile. Eppure, ho notato che le mie canzoni naturalmente (e non senza un mio dispiacere) finiscono per attrarre solo una certa fetta di persone. Non considero la cosa di per sé un insuccesso, ma neppure un pregio: mi limito ad osservarla, e cerco di capire come riuscire ad andare oltre le barriere che potrei aver involontariamente costruito.

Hai recentemente pubblicato il tuo Ep da solista omonimo “Eugenio Sournia”, che percorso senti di aver scelto musicalmente?

Sicuramente, come in parte detto anche nelle precedenti domande, credo di aver fatto una sorta di scelta di campo: scrivere senza filtri, senza stare a pensare a cosa può piacere al pubblico o al mercato, ma al tempo stesso rimuovendo tutte quelle barriere all’ingresso che possono essere frutto non della mia scelta espressiva ma di un pudore o di uno snobismo. Penso che il cantautorato sia un genere che non passerà mai, semplicemente perché la “canzone” è quanto di più naturale ci sia per l’essere umano, e per quanto altri suoni possano accompagnare in un certo qual modo la vita di tutti i giorni, la capacità di emozionare che hanno parole e musica messe insieme non può essere eguagliata. Mi concentrerò sullo scrivere canzoni cercando di colmare con la sincerità e con la purezza sempre maggiore l’inevitabile calo di intensità che avrò con il passare degli anni e il mutare dell’età; non so se scriverò canzoni tutta la vita, ma sono sicuro che fino al mio ultimo respiro scriverò parole.

Creativamente  e musicalmente, come descriveresti la tua città ?

Per quanto la vulgata le voglia indissolubilmente rivali, Livorno e Pisa si spiegano meglio paragonandole l’una all’altra. Ho sempre pensato che tanto Pisa fosse la città dell’Università, del sapere “ufficiale”, della terra, del Medioevo, così Livorno fosse la città del mare, della strada, dei traffici e dei commerci, e di una cultura inevitabilmente più popolare ma forse anche per questo più genuina e spontanea. Una nota statistica di qualche anno fa voleva che Livorno fosse la città al mondo con più band musicali per abitante, dopo Los Angeles; al di là dei dubbi sulla scientificità di tale affermazione, è però vero che un certo fermento si è sempre respirato. Negli ultimi anni tutto questo sembra purtroppo essersi fatto più stanco e rarefatto, probabilmente anche per una certa crisi delle sottoculture musicali tout court; mi sembra che sempre meno ragazzi suonino e sia sempre più difficile trascinare le persone a vedere concerti diversi da quelli dei nomi più blasonati. Sarebbe bello, con gli anni, riuscire magari a fare qualcosa per rivitalizzare il panorama; non mi sono mai visto nei panni di un “addetto ai lavori”, ma sul territorio sarebbe una sfida interessante.

Sergio Cimmino

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