Le storie difficili spesso portano a grandi risultati. E’ questo il percorso in ripida salita che l’uva catalanesca ha seguito sino ad oggi. Frenata in partenza dalla poca lungimiranza di chi non aveva pensato a registrarla come uva da vino, oggi vestita dell’etichetta con l’ormai celebre nome Katà delle Cantine Olivella viene prenotata anno per anno ancor prima di uscire sul mercato. E’il racconto felice condiviso con Ciro Giordano e Domenico Ceriello sotto il vecchio pergolato nella vigna “A Muntagna”, a 650 metri di altitudine sul Monte Somma tra i filari di catalanesca. Nel vigneto invece c’è Andrea Giordano, l’altro socio, poche parole e totale dedizione alla cura delle piante. L’uva si mostra rigogliosa in tutta la sua bellezza esuberante: acini sodi e dalla buccia spessa si raccolgono in cascata sulle pigne grandi e lunghe. Sono stati loro i primi a voler dare la giusta dignità a questa varietà a bacca bianca molto diffusa sul monte Somma, ma vinificata sempre dai contadini per uso proprio, vendendo al massimo il vino sfuso senza alcuna pretesa. Devo dire che ancora oggi questa usanza è molto diffusa e risulta sempre molto difficile far loro intendere che si può fare di meglio. Quassù il caos di Sant’Anastasia e Somma Vesuviana è molto distante, è la natura a dominare lo spazio insieme ai pochi orti disseminati lungo l’arduo sentiero, stretto e sconnesso, percorribile solo con un fuori strada. Tutto sommato la difficoltà di raggiungere il posto rappresenta anche una difesa importante per preservare l’ambiente e la tranquillità quasi irreale. I vigneti di cantine Olivella sono così frazionati lungo il fianco della montagna, il primo corpo del vulcano, quello rappresentato negli affreschi pompeiani, sul versante compreso nel comune di Sant’Anastasia. Tale condizione complica molto il lavoro, svolto totalmente a mano. La vigna più alta è a 800 metri di altitudine, una rarità da queste parti. A differenza di quello che si possa credere, il piedirosso è la prima varietà ad essere vendemmiata, poi tocca al caprettone ed infine alla catalanesca, già tardiva di suo e poi allevata negli appezzamenti più alti. I contadini del luogo infatti ci tengono a lasciare alcuni grappoli sulle piante fino a dicembre per poterli portare in tavola il giorno di Natale in segno di abbondanza e di buon augurio. Le viti sono tutte a piede franco, rafforzando l’identità territoriale sia del paesaggio che del vino. Il millesimo 2015 segna un grande passo in avanti, si distacca da i colori e accenti maturi delle prime annate, vestendosi di quell’energia che i vini del Vesuvio sanno raccontare ad ogni sorso. Avvolgente nei profumi di grafite in apertura, poi fiori bianchi,erbe aromatiche e susina bianca, vibrante nell’acidità che gli conferisce piena piacevolezza, sottile e veloce il sorso. Ottimo compagno del baccalà che da queste parti va molto forte. I vesuviani sono grandi consumatori di baccalà e stoccafisso, proposti nelle tante ricette di famiglia, mentre i ristoranti di zona, proprio negli ultimi tempi, dedicano a questi prodotti piatti di nuova concezione molto interessanti, favorendo preparazioni leggere. Sono da segnalare l’enoteca Treqquarti a Somma Vesuviana, il ristorante Lo Scialatiello a Marigliano con un menù totalmente dedicato a baccalà e stoccafisso, La Lanterna a Somma Vesuviana, e sempre a Somma, regno dei baccalajuoli, La Cantina d’Aragona all’interno dell’antico quartiere Casamale.
Marina Alaimo