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La difesa dell’ambiente e le grandi religioni

Dalle religioni orientali alle antiche religioni europee forte è l’idea del cosmo come di un unico essere vivente animato, a cui l’uomo partecipa per il solo fatto di esistere. Così all’uomo viene chiesto di vivere in armonia con la natura di cui è parte, non di utilizzarla come strumento di servizio. Al contrario nel monoteismo biblico la realtà è emanazione del divino, la natura è creazione di Dio, e come tale viene messa al servizio dell’uomo, creato a immagine di Dio e quindi ontologicamente differente e superiore rispetto al resto del creato. Da questi presupposti la conservazione della natura è finalizzata alla sua utilità per l’uomo, arrivando ad individuare nella manifestazione degli istinti naturali una via certa al peccato.

Questa visione antropocentrica viene sicuramente meno quando si pensa all’opera di Francesco d’Assisi, evocato come santo patrono degli ecologisti, se mai ne servisse uno, ma rimane un caso abbastanza isolato e fino alla metà del secolo scorso non se ne parla praticamente più. Con la sfrenata crescita industriale la contraddizione tra le due visioni diviene evidente e, con la nascita del movimento ecologista, la visione dell’uomo dominatore della natura, che nella tradizione ebraico-cristiana aveva prevalso, viene messa sotto accusa. La stessa tradizione che ha creato l’uomo materialista e dominatore comincia ad interrogarsi su se stessa, fino ad arrivare alle parole di Giovanni Paolo II: “L’uomo si sostituisce a Dio e finisce con il provocare la rivolta della natura, più tiranneggiata che governata da lui” (Centesimus Annus 37). Così Francesco diviene “patrono celeste dei cultori di ecologia”, riproponendo con forza il messaggio di ascoltare la voce della Terra. Anche papa Benedetto XVI ha evidenziato più volte la necessità di uno sviluppo economico e di scelte individuali virtuose dal punto di vista ambientale, “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato” (XLIII Giornata Mondiale della Pace).

Si rispolvera il messaggio di convivenza e armonia, necessario a giustificare l’impegno ambientalista nel mondo cristiano, un’esigenza ormai irrinunciabile da parte di una Chiesa che vuole mantenere le sue radici nel mondo reale. Si prospetta il difficile compito di mettere in discussione il sistema occidentale della produzione non sostenibile e del consumo superfluo e irresponsabile, il dominio sulla natura ha preso vita nel materialismo concreto dell’uomo moderno, spogliato di ogni orpello di fede e spiritualità è divenuto un primato tecnologico sulla realtà, paradossale creatore dell’ateismo moderno.

Mentre il Vaticano si destreggia tra scandali di corte e un forte calo vocazionale, diminuisce il clero e l’edifico ecclesiastico vacilla. Diminuiscono la fede e la partecipazione popolare. Nei paesi occidentali la secolarizzazione, perdita del sacro e scelta dell’utile, rischia di cancellare Dio dall’orizzonte etico e morale nel quale si definiscono scelte e comportamenti sociali. La fede è ridotta a fatto privato o ad un ateismo distratto. Giovanni Paolo II intuisce una risposta nel rilanciare una riflessione nuova sui grandi temi della modernità. Capace di comprendere prima di altri la sfida della globalizzazione si dimostra un grande comunicatore, vicino in alcune tematiche all’azione delle Nazioni Unite, individua nell’agire comune a livello sovranazionale l’unica risposta possibile. In un’Europa patria della secolarizzazione e globalizzazione, dove prevale un materialismo funzionalista come divinità dell’uomo di oggi, la riscoperta del valore della Terra corrisponde a quello di comunità, di partecipazione concreta al divenire della Creazione.

La tematica e la pratica ambientalista, portate avanti in forme di socializzazione di base, possono divenire motore trainante di una riscoperta dimensione spirituale collettiva, in grado di riconoscersi nei valori del cristianesimo. Costruire realtà più piccole, ripartire dalle comunità, essere vicini alla vita quotidiana della gente non solo nelle esigenze materiali legate ai bisogni sempre più pressanti di un occidente in crisi economica, ma fornire una visione di partecipazione che passi per la cura del pianeta, e quindi della Creazione, che ridia vigore ad un senso spirituale e religioso da troppo tempo sopito. Non a caso si tratta per la Chiesa di una crisi simile a quella vissuta da un punto di vista metodologico dalle grandi organizzazioni politiche di massa, legate alle ideologie forti e collassate davanti al fallimento storico delle loro utopie, che in tanti paesi dell’occidente si sono viste sostituire, sebbene con ben altri numeri, da partiti e movimenti esplicitamente ispirati alla tematica ecologista.

Ce la farà la Chiesa romana, in questo clima da fine impero tra comitati d’affari, banchieri, appalti truccati e corruzione? I segni di ripresa, di riappropriazione della realtà, sembrano scarsi: L’Africa e il Sud America vengono esclusi dalle alte gerarchie ecclesiastiche, l’eurocentrismo conservatore di Ratzinger lascia da parte i continenti dove il cattolicesimo è ancora vivo e addirittura fiorisce, dove la spinta ambientalista è culturalmente intrinseca al senso di fede. Se ogni forma di contaminazione della fede sembra contenere elementi potenzialmente pericolosi per l’unità dottrinaria della Chiesa, riuscirà Benedetto XVI nel suo intento di riportare la fede in Europa senza accettare alcuna compromesso?

Fonte: www.globalist.it 

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