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Ufo degli The Zen Circus: “Nell’Ultima Casa Accogliente raccontiamo suggestioni, fallimenti e risurrezioni”

L’ultima Casa Accogliente è il nuovo album di inediti degli The Zen Circus. Il disco arriva a due anni di distanza da “Il fuoco in una stanza” e dalla loro partecipazione al Festival di Sanremo e alla pubblicazione del romanzo anti-biografico “Andate tutti Aff..”. A parlarci del nuovo album è Massimiliano “Ufo” Schiavelli, che ci racconta la genesi di questo nuovo progetto, tra visioni, idee e suggestioni di una band protagonista da vent’anni della scena rock italiana.

 

Dall’esperienza al Festival 2019 con “L’amore è una dittatura”, sino al nuovo album. Qual è stato il percorso che vi ha condotto sin qui?

 

Senza dubbio il 2019 è stato per noi un anno intensissimo, iniziato appunto con l’affaccio singolare, imprevedibile e per molti aspetti spassoso sul mondo sanremese, un’esperienza tra l’altro che ci sentiremmo di ripetere se se ne ripresentasse l’occasione, anche alla luce dei cambiamenti intercorsi nelle ultime edizioni a livello di line-up e di direzione artistica. A seguito ci sono stati molti concerti, dove abbiamo potuto rinsaldare il legame col nostro pubblico e in un certo senso “mettere alla prova” chi magari ci aveva ascoltato per la prima volta a Sanremo e non aveva idea di come fosse la band dal vivo. Esperimento che considero pienamente riuscito, infatti il pubblico diciamo “storicizzato” e i nuovi fan hanno risposto in modo entusiastico. L’anno è poi proseguito a rotta di collo con l’uscita di un romanzo che abbiamo realizzato col bravissimo Marco Amerighi; insieme abbiamo ideato una sorta di antibiografia dove la nostra storia diventa un pretesto per costruire un “bildungsroman” picaresco che a tratti racconta anche in controluce tutta un’evoluzione generazionale e di società italiana. Ne è seguito ovviamente un ennesimo tour, questa volta di presentazioni in librerie e club. Ci siamo così ritrovati a inizio 2020 senza neanche quasi rendercene conto; a questo punto abbiamo preso la decisione di fermarci un attimo a raccogliere idee e spunti per del nuovo materiale. L’idea era quella di istituire una zona “tour free” per avere la calma necessaria per elaborare un nuovo lavoro, cosa necessaria per un gruppo come il nostro che è praticamente in giro senza soste, ancor più utile e quasi indispensabile dopo così tanti impegni ravvicinati. Ironia della sorte, pensavamo di fermarci per un po’, ma non avevamo certo idea di quello che sarebbe successo di lì a poco! Altro che pausa dai concerti, si è fermato proprio tutto il nostro comparto. Nella sciagura, una fortuna: poco prima di ritrovarci in lockdown avevamo fatto in tempo a registrare dei provini che contenevano già grosso modo il nucleo di quello che sarebbe diventato l’album; nei mesi di distanziamento forzoso abbiamo così potuto, ognuno a casa propria, ragionarci sopra e studiare arrangiamenti, variazioni. Quando è stato possibile ritrovarci ognuno di noi aveva molte idee in più e ne è risultato secondo me un lavoro assai più creativo (ma allo stesso tempo ponderato) di quello che era l’intento originario, che era quello di ri-registrare il prima possibile il materiale in uno studio all’estero. Questo ovviamente non è stato possibile, chissà quale sarebbe stato il risultato se non ci fosse stata questa imprevedibile pandemia.

 

 

Nel brano “L’ Ultima casa Accogliente”, che da il titolo al vostro ultimo album di inediti, c’è un mosaico di strofe, nomi e luoghi simbolo, basti pensare ad Elena oppure al Colosseo. Perché questa scelta all’interno di questa vostra rappresentazione musicale?

 

 

E’ forse il brano più “prog”, se mi passate il termine, di tutto il disco. Così come l’arrangiamento musicale, anche la parte testuale è stata a lungo limata da Andrea. Ne risulta una storia complessa e su più piani, fra fallimenti, incontri, ripartenze e risurrezioni. Vi si intrecciano elementi biografici e immagini puramente suggestive, con un occhio appunto a un certo tipo di scrittura anni ’70. Ne andiamo molto fieri anche se siamo pienamente consapevoli che il risultato può sembrare criptico o straniante.

 

 

In Appesi alla Luna viene citata “Lisbona”, perché proprio questa connessione?

 

 

Dopo il giro di giostra sanremese, e consapevole che di lì a poco ci saremmo imbarcati in un nuovo tour, Andrea ha deciso di staccare dagli impegni per un po’ e di passare qualche giorno a Lisbona, forse anche perché gli avevo fatto una testa così io, che di quella città sono un assiduo ed entusiasta visitatore, così come del Portogallo tutto. O anche perché la lettura di un autore come Pessoa gli aveva messo curiosità… In ogni modo il caso ha voluto che fra una serata in un malinconico locale, il Tejo Bar, e un girovagare per quelle strade storte e vagamente enigmatiche, gli sia venuta in mente questa storia di solitudine e ricerca di empatia. Molti ascoltatori ci hanno giustamente trovato un senso più diciamo “universale”, e in effetti le strade e i tetti e le salite e le discese sono anche metaforici, ma il nucleo, l’idea di base sta in quella città e nelle sue mille anime.

 

 

In “Bestia Rara”, che si ispira al documentario di Antonella Branca del 1976 intitolato “Storia di Arturo e Filomena” su due giovani tossicodipendenti, viene immaginata una storia pensando a Filomena, ma che direttamente non parla di lei. Ma vengono trattati temi come l’aborto, la droga, e le chiacchiere della gente in riferimento, a cosa può subire un corpo femminile. Quanto possono essere “letali”, al giorno d’oggi, le cosiddette malelingue?

 

 

Beh purtroppo la cronaca ci racconta ogni giorno di quanto il giudizio della gente o una certa forma di bullismo (verbale e non) portino a conseguenze anche tragiche. Non passa giorno che non si abbia notizia di qualche persona che si ritrova in situazioni incresciose, o si ritrova a compiere gesti estremi perché la vita gli è stata resa impossibile dal clima che si è venuto a creare. Cambiano solo i mezzi, ora spesso più tecnologici, ma la sostanza rimane quella: l’intento di umiliare, di trovare un capro espiatorio, il gusto di “sputtanare” qualcuno solo perché se ne ha la possibilità, il rifiuto di capire, di interpretare soppiantato dall’esigenza di emettere sentenze sommarie. Che la vittima sia un adolescente o un adulto, uomo o donna che sia, permane questo brutto tratto che manifesta l’umanità. C’è solo da augurarsi un futuro più civile dove guarderemo a queste cose come un costume, un’usanza ormai lasciata alle spalle, così come ora quasi ci meravigliamo di fenomeni come lo schiavismo o i processi alle streghe.

 

 

In 2050 si parla di crisi globale, città sommerse e povertà. E’ una visione che hanno gli Zen Circus del futuro prossimo, oppure un campanello d’allarme di quello che stiamo vivendo e che ci circonda?

 

 

Entrambe le cose, in un certo senso. Siamo soliti lanciarci in lunghe discussioni su varie ipotesi di scenari futuri, più o meno distopici, a volte anche solo per ammazzare la noia di un viaggio troppo lungo. A me piace chiamarle “apocatalks”. Chiaramente le previsioni o le opinioni spaziano in ogni direzione, si va dal nostro ormai tradizionale “allegro fatalismo”, come usiamo dire noi, alla speranza e alla meraviglia di fronte ad alcuni scenari che si potrebbero aprire (basti pensare a cosa potrebbe succedere con qualche sviluppo significativo nel campo delle AI). E poi chissà cosa altro potremo vedere un domani… tecnocrazie? Abolizione del lavoro o nuove schiavitù inimmaginabili? terre sommerse o deserti, come di volta in volta immaginava J.G. Ballard? E’ un campo speculativo per noi estremamente interessante, e credo abbia determinato questa visione che Andrea ha messo in versi. Può essere sia un campanello di allarme che semplicemente uno dei mille scenari possibili, la data che dà il titolo al brano l’ho messa io, così, un po’ a caso un po’ no.

 

 

Nel 2021, ci si auspica che ci sarà un ritorno, seppure iniziale ad una normalità, augurandoci anche che si ritorni alla musica live. Potrebbe rappresentare una “sorta di anno zero” per la musica e quindi far ripartire tutto il comparto?

 

 

Noi stiamo monitorando con estrema attenzione quello che sta accadendo nel nostro comparto. Vi posso confermare che c’è una sensazione diffusa di trovarsi di fronte a un cambiamento di grossa portata. Quasi quotidianamente ci giunge notizia di realtà di varia grandezza a localizzazione geografica che annunciano la cessazione definitiva delle attività, e credo che purtroppo molti operatori del settore non riusciranno nemmeno a vedere l’inizio di questa nuova normalità. D’altro canto sentiamo parlare di nuove strategie e protocolli per consentire il riavvio di un comparto che, ahimè, ha sinora avuto una funzione “ancillare” rispetto ad altri ritenuti -a torto o ragione- come più rilevanti o produttivi. E’ purtroppo prevedibile che riapriranno prima le palestre, per dire, dei locali dove si fa musica dal vivo, ma non entro ora nel merito delle scelte o di quello che si ritiene prioritario per la società. Resta il fatto che ci ritroveremo di fronte a uno scenario completamente stravolto, ed è veramente difficile a oggi ipotizzare come si riposizionerà il mondo della musica live…grandi monopoli in mano ai pochi che hanno “tenuto botta” o ripartenza dal basso, magari con situazioni più piccole e informali? O un misto fra queste due eventualità? Ci conforta a volte pensare a quello che è successo alla musica nel secondo dopoguerra: anche lì dopo uno stop forzoso e infinitamente più tragico si assistette a un vero rinascimento e a una evoluzione senza pari della musica popolare, sia in termini stilistici che di fruizione del pubblico. Ci auguriamo che anche questa volta il principio di azione/reazione funzioni!

 

 

Sergio Cimmino

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