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Pulp Vision, Quentin Tarantino

Per l’impatto sull’immaginario visivo del suo tempo qualcuno paragona Quentin Tarantino ad un mostro sacro consolidato quale Orson Welles. Di detrattori, in effetti, il regista americano (nato il 27 marzo 1963 a Knoxville, in Tennessee), ne ha ben pochi. E anche quelli che si ostinano a vedere in lui solo il prodotto pop e generazionale di una certa cinematografia portata all’estremo, non possono fare a meno di negare il talento affabulatorio assolutamente originale, così come la capacità di scrittura che gli permette di inventare storie strampalate o confezionare scombinati quanto divertentissimi dialoghi.

Tutte capacità che gli derivano, in parte, da un altrettanto talento assimilatorio, corredo genetico di ogni vero cinefilo che si rispetti: chi lo conosce sa che, oltre ad aver consumato un numero impressionante di pellicole senza nessun criterio selettivo (anzi, le sue preferenze, va da sé, vanno ai B-movie, oppure alla loro sublimazione, come nel caso del suo regista prediletto, Sergio Leone), Tarantino è in grado di citare a memoria i nomi degli attori più sconosciuti comparsi nei film più improbabili.

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