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Commercio di avorio a scopi religiosi

«Il mondo moderno ha fatto a meno dell’avorio nei suoi oggetti di uso comune, i manici delle spazzole, le palle da biliardo e i tasti del pianoforte non sono più realizzati con materiale ricavato dalle zanne degli elefanti». Il mondo moderno, appunto. Croci copte, coroncine islamiche, amuleti buddisti e ammennicoli cattolici fanno ancora ricorso all’oro bianco – simbolo da millenni di fede e purezza (turris eburnea…) – per continuare ad alimentare un mercato fiorente, benché illegale. E’ quanto documenato da Bryan Christy in un’inchiesta sul traffico internazionale dell’avorio pubblicata dal National Geographic, in edicola in Italia il 29 settembre.

L’indagine parte dal Kenya, dove una zanna di elefante vale cinquemila euro (dieci anni di salario di un operaio), seguendo una pista che la porta in Cina attraverso Thailandia, Filippine, Hong Kong e finalmente la Cina il nuovo, potente grossista globale, dove il governo ha autorizzato l’apertura di 35 fabbriche e 130 rivendite d’avorio finanziando inoltre corsi per intagliatori.

Monsignor Cristobal Garcia, intervistato da Christy, è uno dei prelati più noti e influenti delle Filippine, paese terzo al mondo per popolazione cattolica. Nell’anticamera il giornalista del National Geographic ha potuto ammirare un vero e proprio piccolo museo di sculture sacre dalla testa e le mani d’avorio. Nell’ufficio un crocefisso con il Cristo in avorio.
Nel 2007 (il bando mondiale dell’avorio risale al 1989) Benedetto XVI aveva ricevuto dalle devote mani della presidente delle Filippine, Gloria Macapagal Arroyo, un Santo Niño d’avorio. Ancora oggi l’icona di quel paese, il Niño, rigorosamente ricavato dalle zanne di elefanti brutalmente massacrati (venticinquemila nel 2011) e uccidendo spesso i pochi rangers delle riserve, viene commercializzato senza troppi problemi. E’ il loquace Monsignor Garcia a spiegare a Christy come: «Lo avvolga in un paio di vecchie mutande sporche e ci versi su anche del ketchup. Sembreranno macchiate di merda e di sangue. Si fa così».

Ma la scia di sangue arriva fino a piazza San Pietro: nella Galleria Savelli oggetti religiosi fatti del prezioso materiale sono offerti alla luce del sole. Del resto il Vaticano non ha mai firmato la Convenzione di Washington, sottoscritta da 176 stati, che protegge le specie in pericolo. «Credo che la cosa più importante non sia se le opere siano legali o illegali – afferma Bryan Christy – ma piuttosto chiedersi se venderlo è cosa giusta (…) I leader della chiesa cattolica hanno un’opportunità straordinaria per fare la differenza per la sopravvivenza degli elefanti. A loro bastano poche parole: basta con le icone religiose in avorio».

Fonte: www.globalist.it 

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