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D’amore non si muore

La primavera è nell’aria, si annusa ormai da un paio di giorni nell’odore dei cadaveri delle donne che perdono la vita, uccise per gelosia. Follia passionale, la chiamano, e io mi domando quale passione possa esserci nello sterminio di una famiglia, nel privare della vita un figlio, un padre, una madre o due ragazzi che stavano là, nella primavera che arriva, quasi per caso.

I giornali raccontano i fatti, colorandoli come possono visto che non c’è più un Buzzati, che ti avrebbe fatto appassionare per quel sangue o per quel foulard stretto intorno al collo, così minuziosamente descritto che ti viene da controllare nel cassetto se per caso o per disgrazia ne possiedi uno simile anche tu.

“Non voleva perdere la donna che ancora amava”, scrivono. E di quale amore, di grazia? Che tipo di amore è quello che uccide per gelosia? No, l’amore è cosa seria, l’amore può anche togliere la vita – perché no? – quando però vuole liberare, per esempio, dalla sofferenza della malattia troppo lenta da sopportare.

Negli ultimi dieci anni gli omicidi in famiglia sono triplicati, e le vittime sono donne al 70%. La percentuale dei bambini nemmeno la voglio sapere, perché uno solo sarebbe già abbastanza. C’è chi studia il fenomeno, attribuendolo massimamente alla crisi economica, alla lungaggine delle separazioni e dei divorzi, o al fatto che ormai amarsi o non amarsi più, sia cosa da ricchi. Come in ogni studio che si rispetti la terminologia usata è scevra di ogni romanticismo, solo numeri incolonnati ed è consolante, perché almeno l’Eurispes non ha la pretesa di chiamarlo amore.

Poi però ci sono i media, che fiutano il “trend” e non se lo lasciano sfuggire. La fredda cronaca si riscalda col melenso bricolage di ricostruzioni e docufiction, con i parenti delle vittime che raccontano le loro care ammazzate dai bruti, col sorriso della nostalgia e dell’amore sempre amato, fino alla fine, quando finalmente possono essere liberi di salutare il pubblico lasciando scendere una lacrima.

E ci sono le didascalie dei giornali, sotto le fotografie del mostro in manette: “il camionista ubriaco”, l’assassino di Verona, il mostro di Canicattì. E ci prepariamo a questa lunga scia di morti primaverili, a ridosso dell’otto di marzo, giorno in cui – per fortuna – ci saranno nuove eroine da ricordare, tra una mimosa e l’altra, tra un menù e i consigli per non sfigurare in quell’unica giornata dedicata alle donne, tutte le donne finalmente presenti.

Omicidio suicidio choc a Piacenza … e di nuovo il frugare tra il fango della vita altrui, ma erano extracomunitari e lo si fa solo per far numero, per aumentare questi fiori primaverili, per dare adito alle chiacchiere sui perché e sui per come e inventare scenari che nessuno potrà mai confermare, non risparmiando l’orrore del colpo alla schiena e degli altri sei o sette sparati quando la donna era a terra: sei o sette? E che importanza ha? Era tanto sangue, e gli uomini in tuta bianca nel recinto della scena del crimine si muovono proprio come un film americano, che per un attimo ci tiene compagnia e ci distrae, mentre ancora in sottofondo, qualcuno vaneggia d’amore.

L’amore è un’altra cosa.

Rita Pani
Fonte:r-esistenza-settimanale.blogspot.com

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