Home / Magazine / Legalità / In memoria di Genny Cesarano: statua, lacrime e speranze. Poi c’è un sogno: lo Stato ci aiuti a non piangere per altre vittime innocenti

In memoria di Genny Cesarano: statua, lacrime e speranze. Poi c’è un sogno: lo Stato ci aiuti a non piangere per altre vittime innocenti

“In ludere: giocare contro. Allenarsi senza sosta perché solo chi gioca può vincere”. Sono queste le prime parole scritte sulla targa in memoria a Genny Cesarano, il ragazzo di diciassette anni del quartiere Sanità di Napoli che il 6 settembre del 2015 è stato ucciso per errore dalla criminalità organizzata. Dopo un anno, proprio lì, in quel preciso punto ove la sua vita è stata spezzata, da Paolo La Motta è stata realizzata la scultura che lo ritrae seduto su travi di legno con il pallone ai suoi piedi. «Sembra proprio lui!», afferma una signora mentre amici, parenti o abitanti della zona si sono avvicinati al monumento per accarezzarlo o baciarlo; quasi come se potesse parlare.
“Genny ora gioca con gli angeli”, si legge alla fine della targa. Ma è stato proprio nel momento in cui il telo stava per scoprire l’opera che il pianto disperato dei familiari ha rotto il silenzio, fermando l’applauso e riportando alla triste realtà: Genny non c’è più e la colpa di qualcuno deve essere.
Nella Basilica di Santa Maria della Sanità, nel ricordare il ragazzo ad un anno dalla sua morte, c’era una folla di persone: dai bambini agli anziani. Una chiesa gremita per ricordare il nome dell’ennesima vittima innocente. Don Antonio Loffredo e padre Alex Zanotelli dietro l’altare hanno parlato di redenzione, di cambiamento. Hanno invitato i giovani di quel quartiere a credere nell’alternativa: a giocare la loro partita della vita nella legalità.
Le lacrime da un lato e la speranza dall’altro sono state le due facce di una medaglia in una triste giornata di inizio settembre che ha visto presenti anche Ivo Poggiani, presidente della III municipalità e co-fondatore di Un Popolo In Cammino,  Alessandra e Francesco Clemente, figli di Silvia Ruotolo, e Pasquale Leone, referente di Libera Ponticelli.

Non invano: si dice che chi muoia debba servire da esempio a chi resta e debba insegnare che non si deve più morire per mano della camorra. Ma queste parole risuonano amare ripensando a Maikol Giuseppe Russo, a Ciro Colonna o ricordando che, in quello stesso quartiere, il 31 agosto c’è stata l’ennesima faida e, di conseguenza, altro sangue.
Eppure, quei ragazzi combattono quella realtà mettendoci la faccia e il desiderio di poter crescere senza dover temere di scendere di casa; senza dover temere la medesima fine di Genny. E questo lo Stato dovrebbe non solo prometterglielo ma assicurarglielo con i fatti. È vero che la camorra si combatte con la cultura ma è altrettanto vero che chi resta silente è complice. Complice di chi quella criminalità non vuole vincerla e complice di chi quelle strade e quelle realtà non vuole vederle cambiare. Invece, ieri in quella piazza, di una cosa erano certi e convinti tutti: non si vuole più piangere per altri innocenti ma si vuole ricordare che Genny, da qualche parte, vive.

 

Francesca Saveria Cimmino

Vedi Anche

DIRETTA integrale – Ventennale di Annalisa Durante tra musica e libri

Il 27 marzo prossimo la città di Napoli ha commemorato Annalisa Durante, vittima innocente di …