Solo la fotografia ha saputo dividere la vita umana in una serie di attimi, ognuno dei quali ha il valore di un intera esistenza. Helios, pseudonimo di Eadweard Muybridge
FOTOGRAFIA DI SCENA
Sei a teatro. Le luci, spente e riaccese, tre volte, dicono che lo spettacolo può iniziare. C’è quasi sempre un elemento scenico che da lì a un attimo scorrerà, nel buio, per aprire la scena alla propria sensibilità di spettatore/protagonista. Gli spettatori, in quel teatro riuniti, sono ancora un assieme ma ogni universo individuale sta per sperimentare l’unicità di quello spettacolo. Può darsi che il regista abbia voluto utilizzare una voce narrativa visibile in scena o fuori scena (qualora fosse utile sapere di più di voce extradiegetica, in inglese showing) oppure la sola malìa della musica. Si tratta comunque di vibrazioni che perforano la coscienza di ognuno, per traghettare verso il tema dell’opera ma anche verso la trama non esposta. Da questo punto di vista si tratta di espedienti che servono pure ad allargare le possibilità di comprensione, di fruibilità dello spettacolo. Il passo con cui la costruzione narrativa si apre potrebbe essere rappresentata da un fiore, da una rosa, che si apre lentamente alla luce oppure in maniera accelerata. Lo scopo è e resterà l’intenzione di far intravedere la goccia di rugiada nascosta tra i petali. L’opera messa in scena, in tal modo, si avvia verso la distruzione della intera costruzione narrativa. Ci si potrà anche trovare davanti a un finale che non spiega tutte le faccende ma in ogni caso tutto si è sviluppato su tavole, tra gli arredi scenici resisi necessari e dentro di sé. La messa in scena sarà sempre e comunque destinata a spegnersi, irripetibile. Da questo sfaldamento nasce la perfezione delle sensazioni tratte da ognuno, essendo inattaccabili, non criticabili. Elaborate affatto individualmente, al di là del giudizio sulla messa in scena, esse lasceranno nei vari livelli di coscienza messaggi che altrimenti sarebbero andati perduti e resteranno non più sperimentabili. È del tutto consequenziale, quindi, quel che ci dichiara Catia Urbinelli, Compagnia Teatro Melograno.
«Il teatro è un’arte fugace, imprendibile, vivi l’attimo intensamente ma alla fine di una rappresentazione tutto è già passato, non puoi riprodurre fedelmente lo spettacolo la volta dopo. Anche i video o la fotografia non possono far altro che catturare momenti che accadono in quell’istante ma non saranno mai lo spettacolo nel suo divenire, il teatro vive di atmosfere ogni volta diverse, vive di tensioni emotive e fisiche in continua dinamicità. La fotografia altresì, può invece catturare le atmosfere scenografiche grazie l’utilizzo di un gioco sapiente di luci, utilizzate come se fossero pennellate in un quadro, giochi di luci e ombre che danno vita ogni volta a luoghi fisici ed emozionali diversi. Avere fotografie del proprio repertorio è invece un andare al ricordo di una serie di prove, aneddoti, caos e armonie che sono proprie di ogni allestimento, una solo foto può contenere tanta storia e ricordi. Nelle fotografie sono impressi i segni del tempo, di un tempo passato ora visibile nei volti degli attori, negli abiti di scena oramai lisi,nelle scenografie ormai inutilizzabili, e tutto ciò che un tempo è stato vivo, ha vissuto e si è consumato, nell’immagine appare immutabile, fermo, immortale….è a questo punto che ci strappa un sorriso e ci fa dire ” Io c’ero”».
Mentre, per altri versi, chi di teatro si occupa sia professionalmente che in maniera dilettantistica, conosce bene l’importanza della fotografia quale potente strumento di comunicazione delle proprie azioni sceniche. Si tratta di uno strumento che può far aderire più spettatori ai progetti e può dare aiuto notevole al Piano di Comunicazione che non può certo limitarsi all’uso dei social, siano essi Facebook o Twitter … Basta accedere al sito della compagnia napoletana Te.Co, Teatro di Contrabbando, per verificare quanto la potenza delle immagini possano rendere attraenti le loro avventure e non è certamente un caso se la medesima compagnia abbia voluto organizzare un concorso fotografico (le immagini prodotte e la foto vincitrice si possono vedere nel loro sito). Tra i loro più recenti spettacoli, si segnalano anche le foto di Vulìo, per la regia di Chiara Vitiello, atto unico, liberamente ispirato a “desideri Mortali” di Ruggero Cappuccio (Teatro Segreto Srl). A chi conosce l’opera risulterà evidente quanto le immagini dovessero avere forza narrativa speciale: cinque spiriti defunti ma ancora legati alla precedente vita terrena, la sperimentano nuovamente tramite i cinque sensi…
Non certo dissimile è il ruolo svolto dalla fotografia in altre sfumature di arti visive, come nel caso del cabaret, che talvolta è una prima esperienza per giungere al teatro di prosa. Così è accaduto a Enzo Tota che attualmente dirige una Compagnia amatoriale, la Compagnia dell’Eclissi, associata alla U.I.L.T. (Unione Italiana Libero Teatro). Nel sito di questa compagnia ci sono un paio di foto e qualche notizia su luce e ombra nell’illuminazione teatrale.
Luce e ombra: elementi fondamentali anche nel cinema come si potrebbe verificare, esempio alto di ricerca attenta, approfondendo l’opera di Nèstor Almendros (premio Oscar per la fotografia nel film I giorni del cielo di Terrence Malick) che lo condusse alla scelta di usare in scena la sola luce delle candele. Lo fece con grandiosi risultati in La camera verde, La chambre verte, di François Truffaut.
Altra luce sul tema, sempre dal punto di vista di chi il teatro lo fa e organizza eventi incentrati sulla fotografia, ci giunge da Carmine Califano, Collettivo Acca Teatro
«(…) in 30 anni di attività ci sono degli allestimenti che segnano, contemporaneamente, un punto di arrivo e di una “nuova” partenza. Così all’inizio degli anni ’90 TABU’ un testo di Nicola Manzari e ORE RUBATE di Mattia Sbragia hanno segnato una tappa del mio personale modo di fare regia. Qualcuno dice “cinematografica”. Per questo la “fotografia” è importante. Ogni scena per me è una immagine che deve essere fissata e la luce diventa elemento essenziale. Per circa 20 anni (1990-2009) abbiamo avuto la fortuna di avere uno spazio nostro, il Carpe Diem, una saletta da 60 posti. Qui avevamo la possibilità di sperimentare, su di un palcoscenico di 4 metri per 4, ogni minimalismo. I movimenti, le luci, anche i respiri oserei dire, dovevano avere la giusta misura. Per cui ogni messa in scena era null’altro che il susseguirsi di scatti fotografici. In questo periodo grande importanza ha avuto per me proprio il confrontarmi con un fotografo di professione, Gaetano Del Mauro, dal quale molto ho appreso sullo studio della luce ed insieme abbiamo molto sperimentato. Per esempio in ORE RUBATE, la luce colpiva dei quadri vuoti alle pareti e si rifletteva, illuminando, la scena … o batteva su lenzuola bianche per dare luce alla stessa senza una illuminazione diretta. Alla fine degli anni ’90 – anche per esigenze legate al ricambio generazionale nella compagnia – abbiamo sperimentato il teatro-canzone. Personalmente ho ripreso a scrivere e recitare supportato da un gruppo di musicisti. Finché una nuova generazione di attori, attraverso i Laboratori, ha dato vita ad una nuova stagione, quella del Teatro di impegno civile e sociale. Naturalmente sono questi gli spettacoli a cui tengo di più, quelli fatti nel “nuovo millennio”: MIGRANTI, ‘A FETENZIA, CARNE ‘E MACIELLO e per altri aspetti PARTHENOS. Ma forse, quello che segna una “tappa” come dicevamo, è ARREVUOTATE. Questo spettacolo, più che altro una performance sempre diversa da sé stessa, andata in scena per la prima volta nella primavera del 2009 al Teatro dell’Università di Fisciano, è stato replicato in tutta Italia e finanche in Serbia, unico spettacolo italiano in un particolare Festival Internazionale.» Nel sito di questa compagnia spicca il book fotografico dello spettacolo ARREVUOTATE, realizzato da fotografe non strettamente legate alla Compagnia come fotografe di scena. Notevoli anche le foto di USCITA DI EMERGENZA messo in scena a Palermo relativamente alle quali Califano ricorda: «E proprio a Palermo, il fotografo del quale purtroppo non ricordo il nome, mi diceva che l’uso della luce in scena aveva per così dire, ispirato i suoi scatti.»
Faccenda diversa, ovviamente, la fotografia della scena musicale. Un modo per cominciare a sfiorarla potrebbe essere immaginare di fotografare i concerti hip-hop, accedendo nel Giornale di Zonk Volta.
Alessia Orlando e
Michela Orlando