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Per crescere l’Italia deve parlare di green economy

Con 38 procedure d’infrazione in materia ambientale e un cronico ritardo nell’accogliere molte direttive europee, l’Italia deve percorrere ancora molta strada per assicurarsi uno sviluppo realmente sostenibile. Di ciò è convinto il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, che in questi giorni ha evidenziato i settori dell’economia verde che meritano tutta l’attenzione del Governo nel momento in cui discuterà il suo piano per la crescita. Secondo Clini, la green economy è un tassello essenziale per la ripresa dell’occupazione e delle attività industriali; e più volte il ministro si è mostrato scettico su un modello energetico italiano, quello delle grandi centrali a gas o carbone, troppo ancorato ai passati decenni.

La politica ambientale italiana è quindi strettamente collegata alle direttive e ai regolamenti europei; in particolare, ha ricordato Clini, il pacchetto “clima-energia” definisce obiettivi e strumenti per diminuire progressivamente le emissioni inquinanti, arrivando a un’economia quasi “carbon free” nel 2050. Così ogni Stato membro deve stilare un Piano nazionale per la riduzione delle emissioni, indicando le misure appropriate in tutti i settori (agricoltura, industria, trasporti e così via). Dal 2013 al 2020, si dovranno finanziare queste misure con la vendita dei permessi di emissione alle industrie e alle compagnie aeree (il sistema Eu-Ets), destinando ai piani nazionali almeno metà dei proventi. Su questi punti siamo abbastanza in linea con le richieste di Bruxelles; ci sono, invece, diverse direttive con relativi piani che ancora languono nei meandri burocratici.

È il caso, ha illustrato il ministro dell’Ambiente, delle norme comunitarie per la sicurezza idrogeologica dei territori (frane e alluvioni). Dobbiamo ancora definire una strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, individuando le aree più vulnerabili della nostra Penisola e le opportune misure per prevenire disastri naturali, come la pulizia dei boschi e degli argini fluviali. Ci sono poi le norme di Bruxelles per la bonifica dei suoli contaminati, applicando il principio “chi inquina paga”, con i criteri per risanare i siti industriali da eventuali danni agli ecosistemi. Un capitolo riguarda la gestione dei rifiuti, con la priorità assegnata dall’Europa alla prevenzione attraverso la raccolta differenziata, il riciclo e il recupero (anche energetico con gli inceneritori). Anche qui si attende il Piano nazionale entro dicembre 2012.

Situazione analoga per quanto riguarda le risorse idriche: il piano è previsto entro la fine dell’anno. Dovrà disciplinare diversi aspetti, in primo luogo la riduzione dei consumi idrici, migliorando la qualità degli acquedotti e introducendo tariffe commisurate ai reali costi di gestione. In secondo luogo, l’Italia dovrà adeguarsi alle direttive europee sulla depurazione delle acque reflue, da riutilizzare poi nelle attività agricole e industriali.

Fonte: www.globalist.it 

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