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No ai funerali del mafioso: vescovo minacciato

Il santuario del santissimo Crocifisso è ai piedi di un bel castello chiaramontano, nella parte più alta del paese. Assieme, dominano case basse a declinare verso la pianura e la statale. Più giù il mare. C’é caldo già di buon mattino e le cicale sono assordanti quando è scoperta una croce rossa tracciata con lo spray sulla porta laterale del santuario. Il parroco, Leopoldo Argento, tende a minimizzare, ma sono in tanti a legare quella croce minacciosa al funerale negato a Giuseppe Lo Mascolo, uomo di rispetto, morto dopo l’arresto nel blitz “Nuova Cupola”. In carcere, uomini in contatto con l’inafferrabile Matteo Messina Denaro, attuale numero uno di Cosa Nostra. Arresti che avevano spaccato la magistratura: da una parte chi aveva voluto dare il via all’operazione, dall’altro chi consigliava di aspettare perché c’erano intercettazioni che avrebbero potuto portare a Messina Denaro. Blitz e nomi importanti, tanto da evocare una nuova cupola.

A Giuseppe Lo Mascolo, morto in ospedale dopo il malore in carcere, per disposizione dell’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro,era stato negato il funerale, solo una preghiera e la benedizione. Montenegro, intransigente con la mafia nelle sue omelie e negli atti quotidiani, non aveva avuto dubbi.

Torniamo alla croce sulla porta del santuario. Qui la venerazione per il Santissimo crocifisso è immensa, il 3 maggio di ogni anno tornano anche dall’America per esserci in processione. La statua é un Cristo nero del settecento, e non c’è siculianese nel mondo che non abbia nel portafogli una immaginetta del Cristo. Per questo, quella croce sembra il segno di una rabbia che mette da parte la fede apparente di certi ambienti; rabbia che andava espressa, una risposta alla sfida della chiesa.

“L’unico modo per imbavagliare la mafia – dice, sereno, l’arcivescovo Montenegro, che qui chiamano semplicemente don Franco – è cercare la verità e il bene, rifiutare i compromessi, osare per gli ideali nobili, per l’onestà e la legalità”.

A preoccupare don Franco anche in questi giorni è soprattutto la crisi, la disoccupazione, la nuova, crescente povertà. Se non si superano, non si batte la mafia:”Non ci può essere civiltà e superamento della crisi senza tener conto dei poveri – ripete don Franco – E per i credenti loro sono come un sacramento della presenza di Dio tra gli uomini. Ci aiutano a scoprire che la croce del Signore è sempre piantata là dove ci sono le croci degli uomini”.

Fonte: www.globalist.it 

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