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Vittime innocenti: 12 dicembre

  • 1975 Giuseppina Utano
  • 1985 Graziella Campagna
  • 1994 Palma Scamardella

1975
Giuseppina Utano

Di 3 anni
Uccisa a Reggio Calabria

Giuseppina Utano, di soli tre anni, fu vittima innocente della prima delle due guerre di ‘ndrangheta che hanno insanguinato Reggio Calabria. Si trattò della sanguinaria faida che portò alla nascita di una nuova classe dirigente della criminalità organizzata reggina. Suo padre, Sebastiano Utano, era il guardaspalle del boss di San Giovanni di Sambatello.

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Prima di essere arrestato per alcuni furti avvenuti nel quartiere Santa Caterina, era stato più volte visto insieme a Mico Tripodo, capobastone della ‘ndrangheta e capo dell’omonima cosca che controllava Reggio Calabria e le zone circostanti negli anni cinquanta e sessanta. Dopo aver scontato la pena in carcere, si era trasferito a Sarzana dove aveva lavorato come muratore. Era rientrato a Reggio Calabria da poco più di un mese e, in quel periodo, aiutava saltuariamente il suocero Sebastiano Pangallo. Quel 12 dicembre 1975, Giuseppina era insieme alla madre Domenica Pangallo e al padre Sebastiano. Nella mattinata Utano era stato dimesso dall’ospedale in attesa dei risultati di alcune analisi cui era stato sottoposto perché soffriva di dolori allo stomaco. La figlia e la moglie erano andate a trovarlo poco prima di mezzogiorno e, dopo essere usciti dall’ospedale, erano stati a Scilla, ospiti di un amico. Quella sera stavano rientrando a casa, a Sambatello. A poco più di un chilometro dal centro abitato, all’ingresso della frazione, li attendevano tre killer armati di fucili e pistola che sbarravano loro la strada con un’auto scura di piccola cilindrata ferma in mezzo alla carreggiata. I killer iniziarono a sparare appena avvistarono l’auto degli Utano, indirizzando i colpi principalmente al conducente. Ritenevano che al volante dell’auto ci fosse Sebastiano Utano il quale, nonostante gli fosse stata ritirata la patente al momento in cui era stato sottoposto a misura di prevenzione, aveva continuato comunque a guidare la sua auto. I tre killer concentrarono il fuoco sul sedile di guida, non potendo percepire nell’oscurità che quella sera a guidare l’auto non fosse Sebastiano Utano bensì la moglie. Domenica Pangallo, seppur ferita, riuscì a sfuggire trovando spazio tra l’auto dei killer e il limite destro della carreggiata mentre i tre continuavano a sparare all’auto in fuga frantumando il lunotto posteriore e centrando in testa la piccola Giuseppina. Malgrado le ferite, la madre ebbe la forza di guidare fino all’abitazione di un conoscente che aveva poi accompagnato la famiglia all’ospedale di Reggio. L’auto crivellata di colpi, lasciata incustodita, sparì in un primo momento e poi successivamente rinvenuta nella vicina frazione di Diminniti. Sebastiano Utano, interrogato in questura, non fornì alcun elemento utile alle indagini, negando di conoscere sia gli assassini sia il movente. All’arrivo in ospedale, la madre, al sesto mese di gravidanza, era stata trasferita per essere curata al Policlinico di Messina mentre il padre aveva solo una lieve ferita alla spalla sinistra. Per Giuseppina Utano, invece, non c’era più niente da fare. Al suo arrivo all’ospedale la bimba di appena tre anni era già morta, giustiziata dai killer che avevano sparato per uccidere il padre, senza alcuno scrupolo, pur sapendo che la moglie e la figlia erano in macchina con lui.

1985
Graziella Campagna

Di 17 anni
Uccisa a Villafranca Tirrena (ME)

Graziella Campagna fu una giovane lavoratrice vittima innocente di Cosa Nostra a soli 17 anni. Nata a Saponara, in provincia di Messina, andò subito a lavorare invece di finire gli studi, trovando lavoro presso la lavanderia Regina, nel vicino comune di Villafranca Tirrena che raggiungeva quotidianamente in pullman per adempiere alla mansione di stiratrice.

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Guadagnava 150 mila lire al mese con cui contribuiva al bilancio familiare. Un lavoro sicuro finché non ritrovò nella camicia di un cliente, tale Ingegner Toni Cannata, cliente della lavanderia insieme al geometra Gianni Lombardo, un’agenda che svelava che i due erano in realtà Gerlando Alberti Junior, nipote di Gerlando Alberti, braccio destro di Pippo Calò, e Giovanni Sutera, pericolosi latitanti ricercati per associazione mafiosa e traffico di droga. Essendo suo fratello un carabiniere, quando Alberti mandò Sutera a recuperare l’agenda e ritornò soltanto con un portadocumenti rosso e una foto di Giovanni XXIII, fu decisa la sua condanna a morte. Tre giorni prima del rapimento e dell’omicidio, Graziella confidò alla madre di aver scoperto che l’ingegner Cannata non era in realtà lui e che quando aveva raccontato ad Agata Canistrà, cognata della titolare, della presenza dell’agendina, quest’ultima gliel’aveva strappata dalle mani. La sera del 12 dicembre 1985, Graziella, come di consueto, si diresse alla fermata dell’autobus ma non fece più ritorno a casa. Non vedendola arrivare la madre, preoccupata, avviò le ricerche ma queste non diedero i risultati sperati. Qualcuno in paese, forse intenzionalmente, pensò addirittura ad una “fuitina”. Un’ipotesi che non poteva reggere perché l’unico ad averne interesse sentimentale con la giovane Graziella era proprio con la sua famiglia. Eppure gli investigatori, a cominciare dal maresciallo Giardina a capo della stazione dei Carabinieri, avallarono quella tesi tanto da aspettare un giorno prima di mettersi a cercare la ragazza. Il 14 dicembre il cadavere di Graziella venne trovato a Forte Campone, in un luogo isolato, rannicchiato contro un muro, con un braccio alzato in segno di difesa e cinque colpi di arma da fuoco sparati da meno di 2 metri su viso, spalla, petto, mano e braccio.

1994
Palma Scamardella

Di 35 anni
Uccisa a Pianura (NA)

Il 12 dicembre 1994, poco dopo le 14.00, Palma Scamardella era sulla scala esterna della sua abitazione quando fu colpita alla testa da un proiettile. Il colpo fu fatale. La donna perse la vita per mano criminale pur essendo estranea agli ambienti della malavita.

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Solo dopo si venne a sapere cosa fosse successo. Palma Scamardella fu vittima di uno scambio di persona. La villetta nella quale viveva era divisa in due parti tenute tra loro da una scala centrale. Da una parte la famiglia di Palma, “persone normali”, dall’altra vi erano appartenenti al clan di Lago che in quel periodo si contendeva il territorio di Pianura, quartiere di Napoli. Le scale erano ricolme di cespugli e, un clan rivale ai vicini di casa, attendevano all’esterno della villa per un agguato. Vedendo una sagoma muoversi dietro il fogliame, i sicari spararono senza preoccuparsi di chi ci fosse dall’altra parte.