Home / WebRadio / Vip blog / Kronos e Kairòs / Il Tempo e la Gioia

Il Tempo e la Gioia

Il tempo è creazione e dono di Dio e assume un valore incommensurabile per noi, nella misura in cui sappiamo conferirvi un senso e viverlo gioiosamente.

Troppo spesso viviamo travolti dal tempo misurato dell’orologio e non sappiamo cogliere il tempo disteso e profondo dell’anima che può far dire all’attimo: ”Fermati perché sei bello” e, nella contemplazione di quell’attimo, provare la vera gioia.

Travolti dalle “mille cose” stiamo perdendo il senso della gioia e viviamo solo scoppi momentanei di allegria, che dopo ci ricacciano in un’angoscia e una tristezza più profonda.

Mi permetto di usare un’espressione paradossale: c’è poco da essere allegri, ma molto per essere gioiosi.

L’allegria è una manifestazione esterna e spesso superficiale di un sentimento momentaneo d’euforia. La gioia è, invece, uno stato d’animo caratterizzato da una contentezza duratura, viva e profonda. La gioia genera anche l’allegria, ma quest’ultima non necessariamente è espressione di gioia.

L’uomo d’oggi sembra perdere sempre più la nozione sia del tempo sia della gioia, compresso tra i ritmi di produzione e il consumismo, egli vive il tempo libero come tempo perso o come tempo vuoto da riempire magari nei centri commerciali, nuovi templi del politeismo contemporaneo, nella contemplazione degli idoli del possesso e dell’effimero, confondendo il benessere con il benavere. Un uomo che ha perduto il senso dell’essere, che non si muove che tra cose e mai queste potranno compensare la sua perdita dell’amore e della gioia. Un uomo che crede di possedere, ma che in realtà è posseduto dai suoi beni, telecomandato dalle mode e travolto dall’indifferenza: cristiano senza inquietudine, miscredente senza passioni.

Per il cristiano, invece, la gioia è fondamentale poiché è dono di Cristo: “Rimanete in me ed io in voi…..perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv.15,4; 11). Un dono ricevuto e da condividere con gli altri, perché “Dio ama chi dona con gioia” (2Cor.9,7) e questa, nasce nel momento in cui si abbandona la ricerca egoistica della propria ed effimera felicità per tentare di darla agli altri.

A volta mi capita di pensare a certe facce di cristiani domenicali e a certi volti che circolano nelle sagrestie delle chiese, sempre “ingrugnati” e dal funereo aspetto; a certi segni della pace scambiati con indifferenza e senza guardarsi negli occhi; alla seriosità di certi preti, al tedio di certe omelie, alla noiosa tristezza di certe liturgie e al sollievo dei fedeli che esplode durante certe messe quando il celebrante pronuncia: “La Messa è finita. Andate in pace”. 

Eppure l’Eucaristia è il condividere il corpo di Cristo “nell’unione fraterna, spezzando il pane con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e…godendo la simpatia di tutto il popolo” (cfr.At.2,42,48), la fede cristiana è fede gioiosa, il Vangelo è lieta notizia e noi siamo chiamati ad essere messaggeri di gioia e testimoni gioiosi della Resurrezione.

La gioia è un comando di Cristo: “Se mi amaste voi vi rallegrereste. Vi rivedrò e il vostro cuore gioirà, e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia…Chiedete e otterrete affinché la vostra gioia sia piena” (Gv.16,22-24;17,13).

Il Cristo ci ha resi depositari della sua gioia e noi cosa ne abbiamo fatto?

Il Signore è risorto e noi lo releghiamo nei cieli e non ci associamo alla sua gioia. Spesso riusciamo anche a com-patire, ma non a con-gioire. Umberto Eco, nel romanzo “Il nome della rosa”, lancia una forte provocazione ai credenti quando scrive: ”Il diavolo non è il principe della materia, il diavolo è l’arroganza dello spirito, la fede senza sorriso, la verità che non viene mai presa dal dubbio”. In effetti, alla base di tutti i fondamentalismi, settarismi e ideologie di morte sono presenti una pretesa di possesso della verità che genera arroganza spirituale e un fideismo incupito e senza gioia, piuttosto che lo sforzo e la fatica della ricerca per farsi possedere dalla Verità.

I Padri della Chiesa hanno sempre associato la tristezza al peccato capitale dell’accidia, ossia la negligente indifferenza nell’esercitare la virtù e nel tendere alla santificazione.

Pertanto, non mi sembra per nulla paradossale che il giovane ricco, davanti alla chiamata di Gesù, ”se ne va via triste poiché aveva molti beni” (Mt. 19, 22).

Ricchezza e gioia, tristezza e santità non si accordano. La gioia cristiana non è il facile accontentarsi delle cose, ma è la tristezza sconfitta dal paradosso delle Beatitudini che promettono e permettono di essere gioiosi anche nella povertà e nel dolore, e perfino nella persecuzione perché l’orizzonte della vita è totalmente trasformato dall’incontro personale di un grande Amore, che solo è in grado di soddisfare ogni inquietudine e di dare pace e gioia: “Signore, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (S. Agostino). In un antico testo è illustrato il paradossale e mirabile modo di vivere dei primi cristiani che sono uccisi e tuttavia vivificati, poveri e capaci di arricchire molti, che mancano di tutto e di tutto abbondano, oltraggiati e benedicono, puniti eppure gioiscono come se ricevessero la vita (Lettera a Diogneto). Una lezione profondamente recepita da S. Teresa d’Avila: “Niente ti turbi, niente ti sgomenti…chi possiede Dio non manca di nulla. Dio solo basta”. Nel Signore troviamo la vera gioia, la pace profonda e l’amore che ci rende tutti fratelli.

E allora il tempo si distende, l’attimo si dilata e la gioia diventa caratteristica del nostro esistere. Bisogna essere felici, qui, ora, subito perché le cose non potranno mai soddisfare l’ansia profonda dell’uomo, perché Dio solo può riempire il nostro vuoto e dare significato alla vita di ciascuno; in ultima analisi, come scrive un grande scrittore e mistico francese, Leon Bloy, “c’è una sola tristezza: quella di non essere santi”.

Come seguaci di Cristo, chiamati ad essere santi e missionari, rendiamo evidente la gioia in tutti i nostri atti, poiché questa è la prima, trasparente testimonianza al mondo che noi L’abbiamo incontrato.

 

Franco Accardo

 

Vedi Anche

Agorà, acropoli e arena

Nell’antica Grecia, l’agorà, la piazza, costituiva un luogo privilegiato d’incontro, di confronto democratico, di laboratorio …