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Ricchezza e povertà

“Non augurarti la fame della gente per poterti arricchire, né la miseria pubblica per i tuoi interessi personali. Non trafficare guadagnando sulle catastrofi umane; non approfittare dell’ira di Dio per aumentare le tue ricchezze; non inasprire le ferite aperte dalla sferza delle avversità. Tu contempli il tuo oro e non volgi lo sguardo al tuo fratello; tu conosci ogni specie di moneta e sai riconoscere quella falsa da quella vera, ma ignori completamente il compagno che si trova nel bisogno”.
Il testo riportato può sembrare l’editoriale di un quotidiano a commento di quanto riportato dalla recente cronaca su coloro che vedono nelle catastrofi naturali un’occasione per fare affari e soldi.
In realtà si tratta di un passo di un’omelia di San Basilio, Padre della Chiesa del IV secolo, sull’avarizia, e che risuona oggi di una bruciante attualità. Un filo rosso, che partendo dalla Bibbia, attraverso la lezione dei Padri e Dottori della Chiesa e il Magistero sociale, giunge fino a noi e ci spinge a riflettere sui nostri modelli e scelte di vita, ad esaminarci per capire dov’è il nostro tesoro e quindi il nostro cuore (cfr. Mt.6,21 e Lc.12,34).
Forse, in questo grave momento di crisi economica, e non solo, noi cristiani dovremmo impegnarci a recuperare il pressante invito che ci viene dalla Parola di Dio e dai Padri della Chiesa ad una conversione radicale di vita. Dovremmo ricordare che non si possono servire due padroni: Dio e il denaro (Mt.6,24). Dovremmo richiamare alla memoria che il peccato capitale della superbia è seguito subito dopo dall’avarizia e che defraudare del giusto salario l’operaio è peccato che grida vendetta al cospetto di Dio (altro che i contratti capestro a tempo determinato, i giovani sfruttati nei call center e i vari tagli e ritagli operati sulla pelle dei lavoratori e dei disoccupati). A solo titolo di esempio, in Italia si tagliano 8 miliardi di euro a scapito della scuola e se ne spendono altrettanti per le missioni di guerra e 16 miliardi per l’acquisto di aerei da combattimento, e nessuno esprime una sana indignazione di fronte a tale evidente ingiustizia, senza parlare del 20% del mondo che opprime e affama l’altro 80%.
“La natura ha generato il diritto comune, l’usurpazione ha fatto il diritto privato”, non è una frase di Karl Marx, bensì di S. Ambrogio (+397), anche se entrambi sono nati in Germania e nella stessa città: Treviri. E ribadisce S. Giovanni Crisostomo(+407): “Mio e tuo non sono altro che parole prive di fondamento reale. Le parole mio e tuo sono causa di discordia. La terra non è forse tutta del Signore? E allora i frutti della terra devono essere comuni a tutti. La comunità è molto più conveniente all’ordine naturale che la proprietà!”
Nel forsennato delirio della ricerca del profitto fine a se stesso, del successo e del potere ci si dimentica che il vero ricco non è chi accumula tesori per sé, ma chi si arricchisce presso Dio (cf.Lc.12,13-21). Ciò vale a livello di società ma anche nel piccolo quotidiano. Infatti, sono profondamente sconcertato nel vedere ragazzi e ragazze che, di fronte ad un guardaroba strapieno di capi di abbigliamento, da fare invidia ad un negozio, hanno il coraggio di dire: “Non ho nulla da mettermi addosso”. Mi ritornano allora alla memoria le parole di San Basilio: “All’affamato appartiene il pane che tu nascondi; dell’ignudo è il mantello che tu conservi nei tuoi armadi; dello scalzo i sandali che ammuffiscono presso di te; del povero il denaro che tu rinchiudi”, e mi viene spontaneo chiedere: la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? (cf. Lc.12,23).
Forse abbiamo badato troppo ai peccatucci individuali e abbiamo trascurato il peccato sociale, o meglio, le strutture di peccato cioè “ la somma dei fattori negativi, che agiscono in senso contrario a una vera coscienza del bene comune universale e all’esigenza di favorirlo” (Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 36). Forse ci siamo comportati come quel giardiniere preoccupato di curare il suo alberello bonsai non accorgendosi della foresta che lo circonda. Forse dobbiamo riscoprire virtù che sono state trascurate, o nuove virtù per il nostro tempo, e prima fra tutte la virtù della solidarietà che “non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone vicine o lontane. Al contrario è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti”(Giovanni Paolo II, S.R.S.,38).
Ci sia di esempio e di sostegno, nel nostro cammino di conversione, Maria Santissima, modello di ogni virtù e autentica rivoluzione, che loda Dio Padre perché: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”(Lc.1,52s.).

Franco Accardo

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