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A cuoppo cupo poco pepe cape

“La lettura rende un uomo completo,
la conversazione lo rende agile di spirito
e la scrittura lo rende esatto”.
Francesco Bacone

A CUOPPO CUPO POCO PEPE CAPE

Ci sono amori folli, amori che ti spezzano le gambe, amori che ammazzano o ti conducono comunque alla morte. È, tutto sommato, questo il senso del libro di Pino Roveredo ‘La melodia del corvo’. È uno dei modi possibili per andare a morte, seguendo persone pericolose e dedali spigolosi, velenosi, pungenti, che tagliano mortalmente. E conta poco se si sia o meno consapevoli di andare incontro alla morte. Non fa forse così lo stesso corvo del titolo, quando insegue cantando il suo amore ed è destinato a morire nell’intricata siepe di rovi? Chi potrà mai dire se sia o meno consapevole? E poi: ma conta davvero esserlo? C’è, tuttavia, qualcosa che appare più spaventosa della morte per amore. È nel silenzio, nonché nella incapacità di comunicare appieno, così come in quella di non comprendere ciò che ci viene detto davvero.

Assume, pertanto, grande significato la parola, soprattutto quando si coniuga con le immagini. Talvolta l’immagine basta, come accade osservando l’uomo che usa addormentarsi per terra, disteso davanti il Palazzo della regione a Napoli, con accanto una bottiglia di vino e una mela. È roba da fotogiornalismo ma non si può negare il peso specifico della mera parola che, in fondo, è un modo per tradurre ciò che si ha dentro e che spesso passa prima attraverso un gesto. Va, pertanto, evidenziato anche il linguaggio gestuale così come quello degli sguardi che sembrano capaci, talvolta, di parlarti per via telepatica. In tutto ciò c’è il senso della Lingua Napoletana che è fatta di una miriadi di suggestioni, anche quando sembrerebbe man mano diluirsi in ‘qualcosa’ di diverso, allontanandosi dalla Capitale. È una Lingua fatta di carne che viene da lontano, che si è evoluta in millenni e per mille suggestioni, per interferenze ostacolate e resistite, per delicate e insinuanti manovre di accerchiamento ben accette, c considerati i risultati. Di tutto ciò c’è prova sia nella sua ‘grammatica’ che negli accenti, nei toni, nella respirazione richiesta da una pronuncia che deve essere esatta, per non scadere nel macchiettismo simil-napoletano, che è cosa ben diversa dalla evoluzione-diluizione per ragioni geografiche. È chiaro, qualora si discutesse di simil-pelle, che il discorso sarebbe ecologicamente corretto, giacché si deve essere contro l’uccisione degli animali per coprirsi da un freddo che non è poi così irresistibile. Parlando, invece, di una lingua, tutto ciò che si presentasse come Simil sarebbe un sacrilegio, una castrante riduzione di sensi, di retroscena, di cultura. Si scadrebbe nel Napoletanismo. Ma non è facile essere ineccepibili, parlare bene una Lingua così complessa. Più facile è farlo in altri ibridi, contenuti a esempio nel salernitano-cilentano-lucano. Molto più facile è anche parlare Italiano dopo decenni di televisione. Potrebbe essere utile un dizionario, a esempio il dizionario etimologico napoletano di Francesco D’Ascoli ma la sperimentazione diretta tra i vicoli della città risulterà sempre essenziale. Tuttavia, non sarà evitabile il rischio di fare figuracce, caso mai sfruttando solo parte delle potenzialità di una parola o di un proverbio in Lingua Napoletana. Si pensi al detto A cuoppo cupo poco pepe cape. È fondamentale integrarlo con … e ppoco pepe cape a ccuoppo cupo.

A prima vista, l’integrazione potrebbe sembrare una mutazione genetica del detto noto nella sola prima versione, in realtà non c’è alcuna interferenza con la radicata correttezza formale dei significati. La seconda parte aggiunge quel certo non so che è rilevabile proprio nella forma più corretta. La ricerca può essere integrata in ‘o puosto, il sito campano della linguistica, che pure utilizza il medesimo proverbio. È lì che si rinviene la versione integrale del detto. Se il primo endecasillabo del distico A cuoppo cupo poco pepe cape è diffuso da secoli nella cultura partenopea, il secondo è di creazione di Amedeo Messina, Direttore Editoriale di ‘o puosto, scritto, non a caso, con il raddoppiamento consonantico. Questo è un elemento che i napoletani usano nella lingua parlata ma non la si evidenzia nelle trascrizioni, eccetto pochi casi.

Alessia Orlando e
Michela Orlando

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