Via libera di Camera e Senato alla riduzione degli stipendi per i dipendenti del parlamento, con la scelta di fissare un tetto oltre il quale non andare a 240mila euro l’anno, come previsto dal Dl Irpef. All’annuncio della decisione molti dei dipendenti hanno ironicamente applaudito i parlamentari sia in aula che nei corridoi. Una protesta unica nella storia a seguito anche di quello che è, ad onor del vero, il primo taglio agli stipendi.
Non sono state ancora fissate le indennità di funzione, sulle quali però è certo non sarà superata la soglia del venticinque per cento, ma della quali si discuterà con i sindacati di categoria. Nel frattempo proprio da questi ultimi arrivano parole forti contro la riforma. “Apparirebbe evidentemente un illegittimo esercizio di potere impositivo, in totale spregio dell’articolo 23 della Costituzione. Non difendiamo privilegi, ma soltanto il rispetto dei diritti e riforme che rispondano effettivamente a principi di efficienza e trasparenza”, dichiarano dall’Osa, una delle sigle sindacali di Montecitorio.
I tagli non arrivano comunque in maniera netta ed immediata. Infatti chi ad oggi non supera il tetto potrà raggiungerlo gradualmente negli anni a venire, mentre quanti già guadagnano più della cifra massima prevista riceveranno una riduzione straordinaria del proprio stipendio tra il 2014 ed il 2017.
La posizione del sindacato dei dipendenti parlamentari non è condivisibile, soprattutto considerato lo stato delle cose all’interno del sistema lavoro in Italia. Indubbio è che il confronto con lavoratori e sindacati sia necessario, ma lo è altrettanto il fatto che un dipendente del Parlamento possa vivere con uno stipendio di 240mila euro annui. Di contro c’è da sottolineare che la scelta da parte di Camera e Senato di ridurre gli stipendi sarebbe dovuta indubbiamente partire dagli stipendi degli stessi parlamentari.
Ciro Oliviero