1943, nella Leopoli occupata dai Nazisti, un gruppo di ebrei cerca scampo nelle fogne. Qui conoscono il fognaiolo Sacha che li protegge e guida, prima per denaro, poi per solidarietà. Cari voi: se avete lo stomaco fino, embé, questo film non è per voi: si vedono topi, brutture sia liquide che umane; che puzzano e non lasciano tregua. Per il 90 % del film non si vede né il sole né luce naturale: ma se volete un film controcorrente, questo è per voi. La regista polacca Agnieszka Holland, che però si è formata nella vecchia Cecoslovacchia, e ha lavorato anche a Hollywood, ha diretto questo strano film (POL-FRA-CAN-GER,11) che sembrerebbe ispirarsi a un soggetto trito, benché tratto da un recente romanzo (di Robert Marshall); oltretutto girato fuori tempo massimo, rispetto alla tolleranza dei pubblici europei in materia d’Olocausto. E invece è un film che rivela un raro talento. La regista ha operato in ambienti non solo chiusi, ma altamente costrittivi: tutta quella gente in spazi così angusti e maledetti , è di per sé la negazione della narratività. Eppure i personaggi si muovono, si dialettizzano, cambiano forme e si adeguano allo stare tra loro, e col loro novello Virgilio. Che è il tramite col “mondo di sopra” : che però è ancora di più caratterizzato dalla mostruosità e dalla “puzza”: anzi, noi vediamo la “normalità” cogli occhi di chi sta “sotto”: non c’è luce nella stessa misura. E’ tutto pervaso dal buio. Il regime della negazione dell’umanità, il Nazismo, è allo stesso modo senza respiro. Non ci poteva essere metafora più potente e azzeccata per descrivere il momento storico. La forza del film è che per poter accedere al suo contenuto ideale bisogna “passare” dalla indifferenza semideliquenziale di Sacha alla conversione all’umanità e alla solidarietà: tal che alla fine li chiama “i miei ebrei” , apparentandosi alle loro esistenze. Oltre al fatto che l’attore Robert Wieckiewicz , al di là e sotto i suoi tratti grossolani, è di una bravura tremenda, la regista e lo sceneggiatore David F. Shamoon hanno operato un sottile lavoro di scavo e di approfondimento sulla psicologia del protagonista. La fotografia, di Yolanta Dylewska, rivela come le tecnologie più moderne e sofisticate del digitale, debbano sempre essere supportate dalla mano d’artista.
Ciccio Capozzi