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Cambiamenti climatici, stallo nei negoziati

L’anno scorso nell’ultima puntata delle negoziazioni sul clima di Durban, i Paesi del mondo si erano accordati per un pacchetto di misure per ridurre le emissioni di gas serra e contrastare i cambiamenti climatici. Al termine del summit, si era concordato che la nuova intesa dovesse essere definita entro il 2015 ed entrare in vigore solo nel 2020 ma, ad oggi, gli obiettivi concreti e la tempistica rispetto all’attuazione degli interventi non sono ancora stati ancora fissati. Il Protocollo di Kyoto, in scadenza nel 2012, è stato nel frattempo prolungato per un periodo di “5 o 8 anni”.
Di questo si parla in questi giorni nella sessione di negoziati di Bonn, un incontro degli organismi sussidiari della Unfccc (United Nations framework convention on climate change) per preparare la prossima conferenza delle parti sul clima che si terrà a dicembre a Doha.
“Durban è stato un punto di svolta in cui i governi hanno concordato compiti e scadenze che andranno nella direzione di evitare il peggio per il futuro dei cambiamenti climatici – ha affermato Christiana Figueres, Segretario Esecutivo dell’Unfccc in apertura della conferenza – Adesso abbiamo bisogno di mantenere alta l’attenzione per trasformare le decisioni politiche in azioni”. Nonostante i propositi della Figueres, le divisioni tra gli Stati sono profonde e al terzo giorno di negoziati sono molte le questioni non risolte, tanto da rischiare uno stallo sulla definizione dell’agenda: secondo l’Action Plan definito nella sessione di Bali del 2009, i paesi industrializzati, tra cui Europa e Stati Uniti, dovrebbero essere i primi ad aumentare il proprio livello di ambizione nel ridurre le emissioni di gas serra.
L’India, parlando a nome della coalizione Basic che include Brasile, Cina e Sud Africa, è intervenuta asserendo che le questioni irrisolte, come l’aumento di Co2 negli Stati Uniti in questi ultimi anni, non dovrebbero essere tenute fuori dal tavolo negoziale. Secondo il portavoce indiano “il fallimento nel raggiungere una soluzione soddisfacente e il completamento del lavoro dell’Awg-Kp (il gruppo di lavoro che si occupa dei target di riduzione dei Paesi industrializzati secondo il Protocollo di Kyoto) nella Cop 18 senza ulteriori condizioni, nuocerebbe gravemente l’ambito di azione delle negoziazioni e l’implementazione di un regime per i cambiamenti climatici”.
Il punto della questione si ripercuote nella decisione se prorogare la fase II del Protocollo di Kyoto per 5 o 8 anni: l’Europa sta spingendo per gli 8, in modo da non provocare gap temporali tra i regimi di contenimento delle emissioni e poter anche continuare con i progetti di Clean Development Mechanism; i Paesi emergenti, e in particolar modo le piccole isole-Stato, vedono in questa mossa un tentativo di posticipare tutti gli obblighi al dopo 2020, con gravi ripercussioni sull’aumento della concentrazione di emissioni. Altro nodo controverso, sono le decisioni relative al Green Climate Fund, che dovrebbe portare a mobilitare risorse per 100 miliardi di dollari all’anno per il clima dal 2020: anche su questo punto non si è raggiunto l’accordo sulla nomina dei Paesi che dovrebbero far parte del consiglio di amministrazione del fondo, tanto da spingere i delegati a posticipare la prima riunione del consiglio a giugno.

Fonte: www.globalist.it 

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