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Dietro le sbarre della follia

Dal primo febbraio dell’anno prossimo la legge prevede l’abolizione dei manicomi giudiziari.
Sei strutture in Italia con oltre mille internati allontanati dalla società
Edifici fatiscenti, sporcizia, ratti: è la vergogna di un Paese civile

Questo non è un luogo dove la gente viene per curarsi. Lo dicono le sbarre alle finestre, i padiglioni chiusi, gli agenti di polizia che dal gabbiotto dell’ingresso alle scale ti chiedono, nemmeno tanto gentilmente, di andare via. Lo confermano, inequivocabili, i numeri: 6 medici di base, 6 psichiatri, 2 psicologi, 73 infermieri, contro oltre 100 poliziotti. È l’ospedale psichia-trico giudiziario di Aversa. Fotogrammi di una realtà dimenticata che si scatena oltre i cancelli di tutti gli ospedali psichiatrici giu-diziari italiani.
Un deposito per tutti coloro che creano problemi all’interno della società. Non scontano una pena, perché non possono ritenersi colpevoli dei reati che hanno commesso, ma vengono rinchiusi perchè potrebbero reiterare i cri-mini che li hanno portati davanti al giudice. Qui la malattia mentale è ancora uno stigma, una ferita da nascondere alla società. Eppure, oltre agli autori di crimini efferati, negli Opg italiani c’è anche chi è finito dentro 25 anni fa per essersi travestito da donna e aver spaventato i bambini di una scuola.
Rinchiudere, si sa, è meglio che curare. La pena qui si chiama misura di sicurezza, non ha limite massimo e si sconta tra immondizia, urina, letti arrugginiti, ratti, stanze da quattro dove si sta in nove, ed ancora torture, farmaci usati come sedativi continui.
Chi entra in un Opg, anche per un reato risibile, rischia di non uscirne più. Il meccanismo che si innesca è quello della stecca: chi potrebbe u-scire, se non ha una famiglia – e, spesso, non ce l’ha – dovrebbe essere curato dalle Asl, come una qualunque persona con malattie mentali. Ma le Asl, a volte, non possono o non vogliono offrire “percorsi alternativi” ed allora rinviano tutto al magistrato che non fa altro che firmare proroghe su proroghe.
Ignazio Marino, senatore del Pd lo ricorda in Senato prima del voto che poi darà il via libera all’emendamento che prevede la chiusura degli Opg entro l’1 febbraio 2013.
La situazione degli Opg del resto non poteva più attendere. 
Gli ultimi matti, dimenticati dalla giustizia e offesi da uno Stato che ha continuato ad internarli per trent’anni dopo l’approvazione della legge 180 che nel 1978 chiuse i manicomi, usciranno dall’inferno di Reggio Emilia, Pozzo di Gotto, Aversa, Napoli, Montelupo Fiorentino, Castiglione delle Stiviere.
Calerà finalmente il sipario su una vergogna insopportabile.
«È un primo passo – commenta Cesare Bondioli, responsabile nazionale carceri e Opg diPsichiatria Democratica – ma c’è ancora da combattere. 
Il problema è che queste persone sono diventate degli sconosciuti, si è costruito un immaginario collettivo per cui sono diventate mostri: sono matti, sono delinquenti e vengono da un ospedale giudiziario. La territoria-lizzazione è l’unica risposta possibile: i servizi di salute mentale dovrebbero essere in grado di gestirli perché prendersi cura di un paziente psichiatrico vuol dire prendersi cura di tutti suoi bisogni, da quelli legati ai suoi problemi psichici a quelli assistenziali come il lavoroe le relazioni sociali.
Senza correre il rischio di trasformare queste nuove strutture sanitarie che la legge prevede in piccoli manicomi, perché, dice Giuseppe Ortano, psichiatra di Aversa «il manicomio uno se lo porta in testa, non è una questione di dove lo fai, non è l’edificio che ti condiziona. Se c’è l’idea del malato come soggetto pericoloso che va isolato, dovunque lo sistemi sarà sempre un manicomio. Magari più bello, più pulito, ma la logica dominante sarà sempre quella dell’esclusione e non dell’inclusione».

Emanuela De Vita
Carmen Galzerano
Imma Solimeno

FONTE: www.ilgiornalista.unisa.it

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