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Matteo Leone : “La vittoria del Premio Parodi riscoprendo le origini e la storia del popolo tabarchino”

La 14 Edizione del Premio Andrea Parodi il più importante contest europeo riservato alla world music ha eletto vincitore il giovane cantautore sardo  Matteo Leone con il brano In mézu ô mò ( In mezzo al mare) a lui anche le menzioni per testo, musica e arrangiamento. Un brano che ci guida alla riscoperta di un popolo, di una storia e di un dialetto il “tabarchino”, intreccio di terre e storie di autentici viandanti del mare.

 Matteo, allora come stai dopo questo poker di premi al Premio Parodi?

Ciao, Sergio e Radio Siani. Mi sono ripreso, piano piano. Mi ha decisamente stupito il tutto, personalmente non pensavo di vincere, né tanto meno il Poker. Ma non posso negare che sia stata una soddisfazione e un’emozione enorme, sia per me che per i miei magnifici compagni di viaggio. E’ stato un grosso onore aver potuto rappresentare la Sardegna e soprattutto la minoranza Tabarchina, di cui faccio parte. E’ stata, inoltre, linfa vitale, mi sono messo subito a scrivere brani nuovi. Ne avevo decisamente bisogno dopo questo periodo di stallo.

In mézu ô mò, è sicuramente un brano che guarda oltre le tue radici, sia per il linguaggio che per le musiche. Come è nato nella tua mente questa composizione?

In mézu ô mò (in mezzo al mare) è il primo brano che ho scritto in tabarchino, il dialetto che parliamo in due paesi nel Sulcis (Calasetta e Carloforte entrambi in due isoli minori della Sardegna). E’ stato scritto al ritorno di un tour nel sud degli States con il mio duo blues Don Leone.
Tutto è partito da li. Mi sono trovato a suonare Blues nella patria del Blues stesso.
In me è scattato qualcosa, ho passato una vita (musicale) a cercare le origini di altri posti senza mai soffermarmi sulle mie.Da li ho pensato subito al mio dialetto e poi alla storia del popolo tabarchino, senza una reale terra dal 1500, partiti da Pegli (GE) poi a Tabarka (Tunisia, da dove prende il nome) fino ad approdare nelle coste del sud Sardegna circa 250 anni fa.Siamo praticamente dei liguri-tunisini-sardi. Le coste del Sulcis inoltre sono sempre più “meta” di sbarchi degli immigrati. In mézu ô mò parla principalmente di questo: il paragone tra la tratta passata e quella moderna (con tutte le dovute differenze) E’, per me, una metafora per ricordarmi e ricordarci da dove veniamo, in perenne cerca di una casa, sempre e comunque in mezzo al mare . 

Il Premio Andrea Parodi è uno dei più importanti riconoscimenti a livello europeo dedicato alla World Music. Quale il tuo concetto artistico di musica globale e quale atteggiamento hai verso le sonorità provenienti da gli altri paesi?

Il mio concetto artistico di musica globale è la pura contaminazione. Viviamo in un mondo super-iper connesso, da ogni punto di vista. La contaminazione è inevitabile. Ho sempre avuto un occhio verso il futuro ma ora con la maturità intellettuale e musicale sto riscoprendo le origini, soprattutto le mie. Mi sono sempre ritenuto un uomo di mondo, ho avuto comunque la fortuna di viaggiare tantissimo e visitare/abitare in svariati posti. Per esempio ho vissuto un anno in Mauritania quando avevo 4 anni. Quei suoni me li porto ancora dentro. Sono stato sempre curioso però dei suoni degli altri mondi, con una particolare occhio verso l’Africa nordoccidentale-subsahariana e anche quella afroamericana.

Andrea Parodi, figura e voce di una terra icononica come la  Sardegna, altamente carismatica e simbolica. Hai avuto modo di studiare la sua persona, oppure di ascoltare i suoi brani, che tradizione musicale ha innescato nel tuo percorso artistico?

Chiedere ad un sardo, musicista, nato nella fine degli anni 80, se conosce Andrea Parodi è come chiedere ad un napoletano se conosce Maradona. Devo essere sincero, anche grazie al Premio Parodi, sono andato più a fondo nell’ascolto dei suoi lavori solisti. Conoscevo prima principalmente i lavori con i Tazenda (sono comunque un rockettaro), ma Abacada, il primo disco di Parodi solista, rimane per me uno dei migliori lavori discografici sardi, sia dal punto musicale che lirico. Bisogna tener conto però che abito in una comunità che pur stando in Sardegna non ha nulla a che fare con la tradizione sarda, da ogni punto di vista (linguistico, culturale, culinario ect) dunque per me era difficile anche approcciarmi alla musica in limba sarda. Però con la crescita e anche la più maggiore abitudine nel parlare/ascoltare il sardo mi sto lasciando anche influenzare da questa magnifica tradizione, soprattutto quella chitarristica.

Nel 2022, ci avviamo verso un possibile ritorno alla musica a pieno regime. Che progetti hai per il nuovo anno?

Sicuramente l’uscita del nuovo disco. A gennaio incomincio le prese, avevo già registrato questo disco tre giorni prima del primo lockdown ma dopo un anno senza poter uscire causa covid ho deciso di reinciderlo, cambiando qualcosa, aggiungendo sicuramente molta più consapevolezza.
Si chiamerà Raixe (radici) e sarà completamente in tabarchino salvo una eccezione in italiano.
Sicuramente, o almeno lo spero, sarò in tour promozionale in giro per l’Italia e non solo.

Sergio Cimmino

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