Morte sulla Joannis (Homo Scrivens), dello scrittore Carmine Mari, è un intrigante thriller storico, con protagonista Edoardo Scannapieco giornalista precario concierge all’Hotel d’Angleterre. Un indagine molteplice, in cui verrà coinvolto che ci parla di un duplice omicidio, tra Prima Guerra Mondiale, Russia, Salerno e la evocativa nave Joannis, sullo sfondo dei primi anni tumultuosi del Novecento.
Da dove nasce l’ispirazione per ambientare il romanzo in un periodo così preciso e complesso come il 1911, tra Salerno, la Tripolitania e il massacro di Adana?
Dalla lettura di un bellissimo romanzo, L’uccello blu di Erzerum, di Ian Mannock. La tragedia del popolo armeno mi ha profondamente colpito, così mi sono documentato per conoscere più da vicino quella vicenda e trovare un nesso con le vicende europee. Volevo scrivere un romanzo in cui la grande storia incontrasse la piccola storia dei protagonisti di Morte sulla Joannis. Il 1911 mi è sembrato un anno spartiacque; la crisi marocchina di Agadir tra Francia e Germania, i Balcani in fiamme e l’Italietta proletaria dai grandi sogni che muove guerra all’impero ottomano, la stampa che soffia sul fuoco del nazionalismo per mascherare intenti affaristici dei gruppi industriali. Sembra quasi che sia stato ispirato dalla cronaca di questi giorni, eppure il romanzo è stato scritto quasi due anni fa.
Il protagonista Edoardo Scannapieco ha una voce molto personale: ironica, malinconica, lucida. Quanto c’è di autobiografico in lui e quanto è frutto di ricerca letteraria?
È inevitabile che nell’atto della scrittura possa sfuggire qualcosa dalle trame del personale, specie quando si è presi dal demone. Volevo un protagonista curioso, ipercritico verso se stesso, ironico e fortemente autoironico. Un debole solo in apparenza, che fa del dubbio un punto di ripartenza. Edoardo è cinico e disincantato verso la politica, ma conserva ancora una luce dentro, una piccola speranza per quelli come lui, figlio della classe operaia.
Il romanzo ha una forte struttura da giallo investigativo, ma anche una profonda impronta storica e politica. Quale dei due aspetti è venuto per primo nella scrittura?
Beh, prima è venuto il caso, il delitto, poi i personaggi e infine l’approfondimento storico. In genere parto dal finale (che ovviamente sarà soggetto a cambiamenti), poi affronto le motivazioni dei personaggi, le loro storie passate etc etc. Allo stesso tempo mi immergo nella lettura di saggi storici, curo i dettagli, metto insieme gli elementi scena per scena, come se volessi disporre sul tavolo i pezzi di un puzzle. Un lavoro divertente e stimolante, come costruire un modellino di una nave partendo da una scatola di montaggio, in questo caso, contenente parole, idee e prospettive.
Hai scelto di citare autori e movimenti (Kropotkin, l’anarchismo, il socialismo, i giornali del tempo) con grande precisione: come hai affrontato la ricerca storica e quanto ti sei concesso libertà narrativa?
Il giallo e la spy story sono solo un pretesto per raccontare quegli anni turbolenti: scioperi, proteste e rivendicazioni sociali. I personaggi e le loro storie sono frutto dell’immaginazione, ma si muovono dentro un contesto storico ricostruito con la maggiore fedeltà possibile. C’è una speranza all’orizzonte, una tensione ideale che però sfocia in mille rivoli, il socialismo, il sindacalismo riformista e quello rivoluzionario degli anarchici. Taline Davtyan, la giovane armena e Amelia Minervini, la suffragetta, sono le due protagoniste chiave per parlare dei temi politici, anche se le loro esistenze, costellate di contraddizioni, oscillano tra il desiderio di indipendenza, d’amore e di costrizioni familiari.
La Joannis, la nave al centro del mistero, sembra quasi un microcosmo chiuso in cui si riflettono tensioni politiche, personali e culturali. Possiamo leggerla anche come una metafora dell’Europa di inizio ’900?
Sembra proprio di sì. Pare di assistere all’ineluttabilità della grande Storia e noi, nonostante la rabbia, le proteste di piazza e la ribellione, le vittime sacrificali. Il potere in genere sa come usare la propaganda, il condizionamento mentale, il pensiero unico. Oggi il gioco è più sottile, il potere ha più mezzi, è più infido e subdolo, più pericoloso. Il pacifismo di quei tempi fu sconfitto dalla voglia di sangue, da una massiccia campagna stampa nazionalistica fondata sull’esaltazione della guerra contro il grigiore della borghesia. Tornando a noi, cosa bisogna aspettarsi? Il nemico sembra già nel mirino della grande stampa, così come Edoardo nella sua indagine, abbiamo solo bisogno di trovare la pistola fumante per dare fuoco alle polveri.
Sergio Cimmino
Radio Siani la radio della legalità