Si intitola “Cerchi” (Maremadre/ Ada Music Italy), il nuovo album di Erica Mou, progetto discografico che arriva dopo sei dischi all’attivo e due romanzi (“Nel mare c’è la sete”, Fandango Libri, 2020; “Una cosa per la quale mi odierai”, Fandango Libri, 2024). Artista poliedrica, cantautrice,musicista e cantastorie, in questo suo nuovo percorso, ha l’abilità di decantare tutte le sue sfaccettature più intime, miste a una interiorizzante tenerezza, e alla capacità di crescita sia evolutiva che di cambiamento. Mutamenti, che ci parlano di un Sud immaginario, alternati a momenti di elegante scoperta, segnati da passaggi, pregni di vita vissuta. Folclore, amore e l’inarrivabile rapporto madre-figlia, incarnano solo una parte di un virtuoso, ma interessante album, composto da undici tracce , incredibilmente spontanee, capaci di oscillare tra pop, folk, e rock, su uno sfondo jazz, voglioso di istinto umano e contatto circolare.
Erica, lei decide di aprire il suo settimo album “Cerchi”, con il brano “Madre”. Nel tuo secondo romanzo “Una cosa per la quale mi odierai”, parli proprio del dolore, della malattia, che sconvolge le vostre vite. Questo brano, anche a livello emotivo, in che modo è connesso a quella esperienza?
Canzone e romanzo sono estremamente legati tant’è che una parte del testo del brano è confluita poi nel libro. In “Madre” ho immaginato il momento della mia nascita, mi sono voluta regalare, con questa canzone, il primo incontro con mia madre dato che purtroppo ho memoria soltanto del nostro ultimo. È un brano che parla anche di come i nostri genitori si trasformino più volte davanti a noi man mano che il tempo passa, di come cambi l’immagine che abbiamo di loro in base ai momenti diversi della vita, una continua scoperta.
Nella parte centrale di “Mani di ortica” c’è una frase molto intensa: “La serenità è una scommessa.” Come hai elaborato questa espressione, all’interno del brano?
“La serenità era una scommessa da non puntare”, canto. In tutto il brano c’è una forte tensione tra il desiderare e il sabotarsi.
La Festa del Santo, ha toni più allegorici, ma emozionali, sentimenti di un rituale a cui tutti abbiamo partecipato nella vita. Hai voluto raccontare una tua esperienza prettamente personale o di emozioni condivise a tutti?
Entrambe le cose! Penso che le esperienze personali siano poi quelle che più facilmente parlano anche agli altri. È una canzone che racconta di Sud, di estati, di amori giovani, giostre, di un immaginario che condividiamo in tanti.
C’è anche un passaggio, in cui guardi al passato con “Canzone per me che sono stata”. In questa tua traccia, credi che il messaggio sia prevalentemente di accettazione o perdono, verso quella che eri?
È una canzone di tenerezza, di sguardo all’indietro ma senza voltarsi. Tutto ciò che siamo stati e non siamo più, anche se stentiamo a riconoscerci, lascia qualche traccia nel nostro presente, si nasconde nella voce.
Cerchi è un album concatenato, tra emozioni, nuove scoperte,crescita, in cui decidi di inallenare con un filo conduttore il cammino, che però si trova anche a fare i conti con il tempo. Se dovessi descrivere, con un aggettivo, la tua arte e personalità, rispetto a quella degli inizi, come la definiresti?
Disordinata fuori e orientata dentro.
Sergio Cimmino
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