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Vittime innocenti: 9 novembre

  • 1978 Paolo Giorgetti
  • 1982 Giovanni Canturi
  • 1982 Eduardo Annicchiarico
  • 1995 Serafino Famà

1978
Paolo Giorgetti
Di 16 anni
Ucciso a Meda (MB)

Paolo Giorgetti, figlio di 16 anni di un noto imprenditore della zona, come tutte le mattine era uscito di casa per andare al suo liceo a circa 300 metri di distanza. Stava percorrendo a piedi quei pochi metri quando venne avvicinato da una macchina e bloccato da alcuni uomini.

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Paolo cercò di difendersi e di scappare ma cadde a terra. I rapitori lo presero e lo caricarono nel baule della Fiat 128 verde. Di Paolo non si ebbero più notizie fino a due giorni dopo quando il suo corpo venne trovato carbonizzato nel bagagliaio di un’auto a Cesate, alla periferia Nord di Milano: lo identificarono dal suo moschettone portachiavi attaccato ai pantaloni. Alla famiglia non arrivò nessuna chiamata. “Paolo è allergico ad ogni tipo di medicinale e soffre di difficoltà respiratorie, contattate il medico curante”, era l’appello lanciato dalla famiglia ai rapitori nelle ore successive ma nulla è servito.

1982
Giovanni Canturi
Di 13 anni
Ucciso a Caraffa Del Bianco (RC)

Giovanni Canturi era un ragazzino di 13 anni ucciso mentre accudiva gli animali insieme allo zio Rosario Zerilli, vittima designata dei killer.


1982
Eduardo Annicchiarico
Di 16 anni
Ucciso a Castrovillari (CZ)

Eduardo Annichiarico frequentava il liceo, aveva 16 anni e una ragazza. È nato a Castrovillari, in provincia di Cosenza, da una famiglia benestante: quasi una colpa per la banda di dilettanti che l’ha rapito e subito ucciso per poi tentare di estorcere un riscatto ai gioiellieri Annicchiarico. Attirato in una trappola dall’amico professore, Edoardo è morto il 9 novembre 1982. Caricato su un’auto, accoltellato sei volte e poi gettato in un fosso lungo l’autostrada.

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Caricato su un’auto, accoltellato sei volte e poi gettato in un fosso lungo l’autostrada. È rimasto lì tre giorni. Ad uccidere Eduardo Annichiarico non è stata la ‘ndrangheta, non sono state le cosche ma una mentalità criminale che dalla mafia ha appreso il disprezzo per la vita e la sete di denaro a tutti i costi. La tragedia inizia e si conclude nella serata del 9 novembre. Eduardo è con la ragazza, Nuccia Zaccaro. Poco prima delle otto va via, è l’ora della palestra. Come ogni sera ci va in motorino ma non ci arriverà mai. Lo hanno caricato di forza su un’auto, per poi fuggire poi in direzione dell’autostrada. Per confondere le acque, qualcuno della banda sposta il motorino, parcheggiando nel piazzale di un distributore di benzina all’ingresso del paese. Poi una telefonata: un uomo dall’accento catanzarese annuncia il sequestro. “Vostro figlio è in buone mani, preparate trecento milioni e venti chili di oro”. I familiari vanno in strada, cercano Edoardo: solo dopo un’ora abbondante chiamano i carabinieri. Nonostante l’allarme in ritardo, c’è subito un fermo: si tratta di Giacomo Daniele Cardello, insegnante 25enne di origine siciliana, residente a Castrovillari da sei anni. Lo conoscevano tutti in paese, lo chiamavano “il professorino”. Cardello frequentava la stessa palestra di Eduardo, erano più che conoscenti. Si erano già visti il giorno prima del sequestro e avevano un appuntamento per quell’ultima serata. Una trappola organizzata da Cardello, insieme ai complici. Il corpo di Eduardo è in una scarpata che costeggia una piazzola di sosta della Salerno-Reggio Calabria. Quel che è certo è che Eduardo viene subito ucciso con sei coltellate al ventre. Ucciso e gettato nel fosso dove resta per tre giorni e per tre notti.

1995
Serafino Famà

Avvocato di 57 anni
Ucciso a Catania

Serafino Famà è stato un avvocato italiano. Il 9 novembre venne raggiunto da 6 colpi di Beretta calibro 7,65. Morì poco dopo all’ospedale Garibaldi di Catania all’età di 57 anni. Le indagini inizialmente non condussero ad alcuna pista finché Alfio Giuffrida, decise di collaborare con la giustizia.

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In base alle sue dichiarazioni, Famà venne ucciso su ordine di Giuseppe Maria Di Giacomo, reggente del clan Laudani, per via della linea difensiva che l’avvocato assunse in un processo in cui Di Giacomo era imputato, ove consiglio’ alla moglie del suo cliente Matteo Di Mauro, cognato di Di Giacomo, di non fare dichiarazione. Di Giacomo era stato infatti arrestato mentre si trovava a letto con la moglie del cognato, Stella Corrado e aveva anche progettato il suo omicidio. Di Giacomo sperava che la deposizione della Corrado permettesse la sua scarcerazione, ma non avendola resa, se la prese con il suo avvocato.