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Annabelle 2 – Creation

USA: anni 40 e 50, California rurale. Per onorare la morte della propria figlia dodicenne, i due genitori accolgono stabilmente nella loro casa un gruppo di orfanelle. Ben presto, in quegli ambienti sempre più misteriosi, le ragazze incontrano l’inquietante bambola Annabelle. In principio era “L’evocazione-The Conjuring” (USA 13), diretto da James Wan, in cui la coppia di “cacciatori dell’occulto” negli anni 70 (ispiratori di Dylan Dog), Ed e Lorraine Warren, incrociano per la prima volta, e mettono in una specie di prigione, una presenza malefica che si era insediata in una bellissima bambola. Essa è figurativamente derivata da una “Raggedy Ann” doll: una bambola-pupazzo fatta di materiali semplici, ancor oggi sul mercato, con un volto infantile ridevole appena accennato, bottoni al posto degli ecc., disegnata nel 1915 da Johnny Gruelle, famoso illustratore americano per bambini. Ma nel film del 2013 il suo disegno è molto più evoluto e umanizzato, anche se la sua funzione è completamente stravolta: tra l’altro i Warren, realmente esistiti, hanno documentato la potenza malefica di questa trasformazione. Ma questa invenzione, sia visiva che narrativa, era troppo efficace e ghiotta per lasciarla marcire in una teca. Ed ecco che, su quella creatura come protagonista, realizzano, James Wan, come produttore insieme a Peter Safran, produttore di “Conjuring” ed altri film horror, uno spin-off, una vicenda derivata: “Annabelle” (USA 14). E’ in realtà un prequel: una storia ambientata cronologicamente prima dei fatti di “Conjuring”. Lo dirige con assoluta padronanza John R. Leonetti, conosciuto e apprezzato soprattutto come Direttore della Fotografia. Questa presenza riappare nel titolo presente, e ne è l’indiscussa protagonista. Ma da “Chucky” (USA 88), un classico di Tom Holland, che poi ebbe ben 6 sequel, lo schermo horror ha avuto numerose variazioni sul tema della bambola malefica; senza contare il piccolo capolavoro “Magic-Magia” (USA, 1978) di R. Attenborough, con un giovanissimo Anthony Hopkins, in cui il pupazzo del ventriloquo, prende il sopravvento sul suo manipolatore e lo conduce all’abisso. Le bambole, come i pupazzi, si sa, sono degli oggetti dall’accentuata funzione transazionale: i bambini è come se riversassero su di loro la ricchezza “vivente” della loro fantasia; e ne traessero, attraverso il gioco e il costante confronto, energia nel sostenere e “razionalizzare” la contraddittoria realtà quotidiana. E’ una funzione imprescindibile per la loro crescita. Il cinema horror Hollywoodiano, attentissimo a tutte le variazioni e increspature di contraddizione del reale, ne ha colto il lato oscuro, e vi si è gettato sopra con implacabile incisività. Ciò perché anche i bambini odiano. Ovvero sono in grado di nutrire sentimenti negativi: come l’angoscia, l’inadeguatezza, ecc. Ma la loro presenza è fisiologica. Solo quando si sono commisurati con questi contrasti, e li hanno superati, attraverso l’empatia e la sicurezza della guida genitoriale (o di chi ne assume affettivamente le responsabilità e le funzioni), potremo avere delle risposte equilibrate rispetto alle vicissitudini del loro vivere. E la riuscita del film “Annabelle 2: Creation” è che tutti questi elementi sono dati intelligentemente a monte della narrazione: non è che vengano annunciati con degli “spieghi” di un qualche psichiatra; sono del tutto incarnati nel proseguire dell’azione. Anche se la variazione è presente: e riguarda l’immaturità e incapacità dei genitori, proprietari della casa, i sedicenti benefattori che accolgono i bambini, a superare il lutto della perdita della loro amatissima figlia. Ma anche loro risultano essere vittime della loro umanità e fragilità nel meccanismo messo in essere. Lo sceneggiatore Gary Dauberman, il medesimo di “Annabelle” (il numero uno), ha tratteggiato senza schematismi la complessità dei non lineari modi di porsi dei genitori di fronte agli episodi di maleficio del film. In questo gli attori Antony La Paglia e Miranda Otto, gli unici più famosi, hanno dato un importante contributo. Come anche è posta attenzione sulla diversità delle motivazioni e comportamenti delle ragazze ivi accolte: sono caratteri che si cerca di individualizzare con cura. In particolare quello delle sorelline Linda (la più piccola: l’attrice Lulu Wilson, simpatica e non stucchevole) e Janice (la più grande: Talitha Bateman), espressiva e perfettamente in ruolo pur nei suoi cambiamenti repentini; e che diventa la coprotagonista del film. Il relativamente giovane regista David F. Sandbergh ha gestito la ricchezza dei presupposti narrativi con solida efficacia: senza farsene intimidire ha utilizzato tutte le risorse a sue disposizione con un senso narrativo molto coerente e fluido. I momenti top dell’orrore, in cui convergono le tracce lasciate, facendole precipitare in momenti di sorpresa e de paura , sono costruiti con cura, con intervalli e stacchi rispettati a puntino. Il montatore, il navigato ed esperto Michel Aller, ha lavorato utilizzando gli spazi in maniera sofisticata: non sono costruiti in maniera grossolana i momenti di tensione, soprattutto quelli con la bambola al centro dell’azione. C’è controllo sicuro dei tempi visuali, senza che ci sia alcun momento di stanca. Anche se il post finale è insolitamente lungo e articolato: sicuro indizio di un ulteriore sequel. Del resto il duo James Wan e Peter Safran sono dei maghi del cinema povero di genere: come l’altro geniale produttore Jason Blum (che però ha caratteristiche di impegno sociale nel complesso più evidenti): con film che costano pochi mln di dollari, massimo una decina, hanno creato complessivamente profitti per miliardi. Come per “Annabelle 2”: costato 15mln ne ha incassati 220. In più, è piaciuto, se non entusiasmato anche i critici su tutte e due le sponde dell’Atlantico.  

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