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Nicola Di Bartolomeo un ercolanese contro il nazifascismo e lo stalinismo

Nicola Di Bartolomeo nacque a Resina il 16 marzo 1901 in via mare n°55 e il giorno successivo fu battezzato nella Chiesa di Santa Maria a Pugliano da Don Giovanni Formisano. Il padre si chiamava Aniello e la madre Teresa Scognamiglio. A soli quattordici anni aderì alla Federazione Giovanile Socialista e nel 1921, con la scissione del Congresso di Livorno, aderì al Partito Comunista d’Italia. Era un operaio metallurgico e nel 1922, mentre gli squadristi fascisti si macchiavano di ogni sorta di violenza e omicidi rimanendo impuniti, fu condannato a cinque anni di carcere per il suo pacifismo e antimilitarismo. Fu liberato quattro anni e mezzo dopo nel maggio 1926, in piena dittatura fascista. Riprese la sua attività politica e fu costretto a fuggire in Francia nel 1927 per non essere di nuovo incarcerato per una condanna in contumacia. A Marsiglia iniziò la sua attività politica tra i comunisti italiani finché, dopo essere stato arrestato dalla polizia francese e minacciato di essere espulso e consegnato alla polizia fascista, il partito lo trasferì a Parigi.
Al Congresso Nazionale di Lione del Partito Comunista nel 1926, allorché prevalse la linea di Gramsci più vicina alla burocrazia stalinista che mise in minoranza Amadeo Bordiga, si alleò con quest’ultimo e criticò con forza la linea burocratica dell’Internazionale Comunista che causò il massacro dei comunisti cinesi da parte di Chiang Kai Scek. Fu espulso nel 1928 dal partito e a Parigi si collegò all’opposizione allo stalinismo legata a Lev Trotskij (uno dei padri della rivoluzione russa che sarà ucciso in Messico nel 1940 da un sicario di Stalin). Dal 1930 in poi cercò di spingere i bordighisti verso il trotskismo ma non riuscì nel suo intento e nel 1931 aderì alla NOI (Nuova Opposizione Italiana), l’organizzazione trotskysta in Italia ed ebbe contatti con l’organizzazione internazionale e con lo stesso Trotskij. Fosco, questo era il suo nome di battaglia, lavorò in molte fabbriche metallurgiche e s’inserì attivamente nelle lotte operaie e sindacali parigine diventando un grande dirigente sindacale; allo stesso tempo, fu attivo nel movimento appoggiando la linea che voleva contrastare la Terza Internazionale Comunista, ormai stalinista e burocratica, con una Quarta Internazionale che avrebbe avuto come leader Lev Trotsky. Praticò anche “l’entrismo”, cioè entrare a far parte del Partito socialista di Pietro Nenni che aveva maggiori contatti con i lavoratori per spingerli poi su una linea più rivoluzionaria, ma fu espulso col suo gruppo su pressione degli stalinisti. Si oppose alla linea della Terza Internazionale, ormai stalinista e burocratizzata, che definì i socialisti come“socialfascisti” e che aveva diviso il movimento operaio spianando la strada all’avvento del nazismo in Germania nel 1933. La linea di Fosco era quella del fronte unico dei lavoratori che avrebbe unito socialisti e comunisti per opporsi all’ascesa al potere di Adolf Hitler.
Intanto, in Spagna nel 1936 la rivoluzione sembrava essere alle porte e il movimento trotskysta francese emigrò per unirsi alla lotta. Lo stesso Fosco che viveva a Parigi, senza documenti per sfuggire alla polizia francese, andò a combattere in quel Paese. Il Fronte Popolare al governo spagnolo era stato democraticamente eletto e il generale Francisco Franco coi falangisti e l’aiuto dei nazifascisti iniziò il suo pronunciamiento contro il governo legittimo. Di Bartolomeo unitosi ai trotskysti del Partido Obrero de Unificacion Marxista (Poum) il 19 luglio 1936 a Barcellona, armatosi senza aspettare gli ordini del governo, respinse le truppe del generale golpista. A Siviglia i lavoratori, privi di ordini precisi, furono massacrati dalle truppe franchiste. Stalin spingeva le forze più avanzate del movimento dei lavoratori al massacro e, allo stesso tempo, iniziava a reprimere gli anarchici e i trotskisti perché temeva ( una volta tanto non a torto!) che la loro vittoria in Spagna avrebbe rafforzato l’opposizione di sinistra allo stalinismo in Unione Sovietica.
Fosco aveva l’incarico di rilievo nell’ organizzazione dei volontari stranieri del Poum ed era in contatto con il Segretariato internazionale e con Jean Rous, leader del Partito operaio internazionale francese. Trotsky gli inviò una lettera in cui espresse la sua volontà di andare in Spagna per mettersi a capo del movimento che si stava rafforzando nella lotta antifranchista e antinazifascista. Stalin fece rapire e torturare Andres Nin, leader del Poum, per costringerlo a una falsa confessione di collusione con il fascismo. Nin resistette alla tortura e non fornì agli stalinisti nessun appiglio per criminalizzare il suo partito e perseguitare i suoi compagni e fu ucciso. Gli agenti di Stalin e i partiti a lui asserviti però perseguitarono e arrestarono i militanti del Poum e spaccarono il movimento operaio spagnolo aprendo la strada alla vittoria di Franco nel 1939.
Nel 1938 Fosco tornò in Francia e lì continuò la sua lotta aderendo al Parti communiste Internationaliste di Molinier e Pierre Frank partecipando attivamente all’azione politica. Egli collaborò anche come giornalista all’organo del Pc, La commune, con una serie di articoli dedicati agli avvenimenti spagnoli. Dopo una breve fase, in cui riprese con i suoi compagni di partito la politica entrista nel Parti socialiste ouvrier des paysans dal quale furono espulsi e, in previsione della guerra, il Pc decise di trasferire all’estero la direzione e così Fosco si recò a Bruxelles e a Londra per stabilire i contatti e la sede del partito. Rientrato a Parigi fu colto di sorpresa e arrestato dalla polizia francese e, dopo essere stato nel carcere di Lille, fu internato nel campo di concentramento francese di Vernet sui Pirenei dove i prigionieri erano tenuti in baracche, con poco cibo, con un’assistenza sanitaria scadente ed esposti a temperature che la notte raggiungevano i 10 gradi sotto lo zero. Nel 1940, in seguito all’armistizio italo-francese fu liberato, ma per poco perché fu nuovamente arrestato e consegnato alla polizia fascista italiana.
Il 30 settembre 1940 fu processato e condannato a cinque anni di confino alle isole Tremiti dove era stato anche Sandro Pertini, futuro Presidente della repubblica italiana. Al confino le condizioni erano dure, sia per la scarsità del cibo, sia delle cure sanitarie, sia per il controllo esasperante delle autorità fasciste sui prigionieri. Nonostante ciò Di Bartolomeo continuò l’attività politica organizzando collettivi e un nucleo trotskysta di deportati, rischiando di prolungare all’infinito la sua deportazione, perché i fascisti pretendevano non solo che i prigionieri scontassero la pena, ma anche che abiurassero le loro idee in cambio della libertà.
Al momento dell’arrivo delle truppe angloamericane, i deportati furono rimessi in libertà il 22 agosto 1943 e il gruppo di Fosco incominciò a preparare il partito per l’adesione alla Quarta Internazionale. A Napoli i trotskysti avrebbero potuto raccogliere enormi consensi perché la linea politica di Palmiro Togliatti – sostanzialmente burocratica, stalinista e opportunista – non era gradita ai militanti che si erano formati con Amadeo Bordiga, ma scelsero l’entrismo nel Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP).
Nell’ottobre 1943 il Pci napoletano subì la cosiddetta “scissione di Montesanto” e gli scissionisti di sinistra avviarono la ricostruzione del sindacato fondando la Confederazione Generale del Lavoro (CGL rossa) e della quale Fosco divenne uno dei dirigenti. Il 29 dicembre 1943, al primo congresso delle leghe sindacali ricostruite, egli fu nominato membro della Commissione Esecutiva della Camera del Lavoro di Napoli. Al congresso di Salerno della CGL rossa del febbraio 1944, in veste di delegato della Camera del Lavoro di Torre Annunziata, denunciò la politica antiproletaria del governo Badoglio e sostenne la necessità di una ricostruzione che fosse a vantaggio degli operai e non del capitalismo, aggiungendo che l’unità sindacale doveva essere raggiunta soltanto sulla base di una piattaforma di lotta di classe. La mozione che egli propose (e che venne votata all’unanimità) auspicava la radicale trasformazione della società attraverso la socializzazione dei grandi mezzi di produzione e di scambio. Fosco sostenne l’adesione alla Confederazione Generale Italiana del Lavoro da parte Cgl rossa, nonostante le manovre contrarie degli stalinisti del Pci. Nello stesso periodo egli fu espulso dal PSIUP.
Sin dalla liberazione dal confino Fosco aveva cercato di stabilire un rapporto con la Quarta Internazionale e, nei primi mesi del 1944, entrò in contatto con i trotskysti in divisa venuti in Italia con le truppe angloamericane. Con il loro aiuto entrò in contatto con Romeo Mangano, dirigente della vecchia Federazione del Pci di Puglia che era rimasta sulle posizioni della sinistra bordighista e concluse un’alleanza politica.
Il 19 marzo del 1944 sposa Rosa Gaudino, di vent’anni più giovane di lui, che diventerà il primo sindaco donna del Comune di Ercolano a cavallo tra gli anni 80-90 del secolo scorso e dalla quale avrà una figlia.
Nel febbraio 1945, il gruppo trotskysta da lui diretto si fuse con la Federazione pugliese e diede vita al Partito Operaio Comunista (bolscevico-leninista). Il POC aderì alla Quarta internazionale dalla quale fu espulso per le divisioni interne e il sopravvento delle posizioni bordighiste di Mangano sulla minoranza troskysta.
Nicola Di Bartolomeo non partecipò alle lotte interne al Poc. Il 10 gennaio 1946 morì a causa di una banale malattia anche per mancanza di medicinali adatti e che sarebbe stata curabile se l’Italia non fosse stata nelle condizioni catastrofiche causate dalla guerra fascista. Il padre era distrutto dal dolore per la sua morte perché pensava che non gli fossero state assicurate tutte le cure a causa delle sue posizioni politiche che già gli erano costate l’esilio, il confino e immani sacrifici.
La sua morte lasciò un grosso vuoto nel movimento trotskista per il quale aveva speso tutta la sua vita e aveva affrontato la persecuzione dei fascisti,degli stalinisti e dei nazisti.
Un figlio di Ercolano che merita di essere ricordato per il suo coraggio, la sua coerenza, il suo amore per la libertà, l’uguaglianza, la giustizia sociale e la sua lotta per un mondo che sperava migliore e per il quale ha sacrificato la sua giovane vita.

Vincenzo e Francesco Accardo

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