La libertad, Sancho, es uno de los más preciosos dones que a los hombres dieron los cielos; con ella no pueden igualarse los tesoros que encierra la tierra ni el mar encubre; por la libertad, así como por la honra, se puede y debe aventurar la vida, y, por el contrario, el cautiverio es el mayor mal que puede venir a los hombres” (El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha, Miguel de Cervantes)
L’obbiettività è un dato improbabile, è una fiction (Abo)
IL CRITICO NUDO, IL PRESIDENTE, UNA FOTOGRAFA
Guardi la sua prima immagine; consideri che per età rientrerebbe tra i cosiddetti “rottamati”; ti viene spontaneo scimmiottare lo haiku: Neve sui capelli/mani giunte/davanti al confessionale.
Accade quasi sempre analizzando un ritratto qualsiasi: è naturale esprimere un giudizio estetico. Naturalmente non si cerca di sintetizzare in ogni occasione con parole presunte poetiche. Talvolta lo fai irriguardosamente; talaltra scopri una eccessiva dose di ossequio. In altri casi, dato il rapporto di affetto con il soggetto – si pensi all’immagine di un genitore o di un figlio – l’emozione prevale su tutto. Si è umani e quindi può accadere di contraddirsi anche nel ripetere gesti consueti. Va bene così, forse. In ogni caso, giunge, poi, il momento dell’analisi, anche se quel che è fatto è fatto. È un po’ come quando leggi i lapidari “aborismi” di Abo, Achille Bonito Oliva, il critico che “inventò” la transavanguardia e si mostrò nudo sulla cover di Frigidaire, ma nascose il tallone, pare. Ci pensi su con un sorriso preventivo stampato sul volto; capisci l’enorme carica di sensi e la straordinaria capacità di sintesi. Scatta un moto di invidia pura.
Trattandosi di un Presidente della Repubblica, sei costretta a passare il cancellino sulla lavagna della mente. metti da parte altri temi, da altri trattati o adombrati (che fine ha fatto il Pci? E le sue istanze? La vecchia Dc copre ormai tutte le cariche italiche e così via). Sfogli un giornale qualsiasi, anche nel web, oppure riguardi le immagini dei telegiornali e ti passa la voglia di sorridere con faciloneria. Sparisce il sorriso. Gli occhi devono restare aperti su una immagine, una sola: la foto che realizzò Letizia Battaglia quando Piersanti Mattarella respirava ancora, con otto pallottole in corpo. La si può vedere qui.
C’è l’immagine ma c’è anche una analisi lucida del contesto, di quella Palermo e della famiglia Mattarella, in un 6 dicembre 1980. È un frammento esplosivo di un luogo che già nel nome aveva e ha senso: via Libertà. Purtroppo, leggendo fino in fondo, scopri che nei pressi furono uccisi Boris Giuliano, Cesare Terranova, Michele Reina, Mario Francese. Tutto a una distanza compresa tra 200 metri e 1 chilometro.
Sarà per la forza delle parole che leggi, ma da quella foto di Letizia Battaglia emerge la paura, la disperazione, la cronaca che ti segna a fuoco. In poche altre occasioni che non ti riguardino personalmente accade di avvertire i crampi allo stomaco con tale potenza e devi considerare che c’è la forza delle fotografie in B/N, la loro capacità di stimolare l’analisi e la creatività dell’osservatore.
Spingendosi nell’infido territorio delle deduzioni da trarre da una fotografia, ti sembra di poter considerare, con una certa dose di fondatezza, che forse Letizia Battaglia non si trovava in quel posto per caso. Era in un luogo già simbolico, via della Libertà, appunto, e lei quel tema lo aveva già incrociato anni prima.
Siamo nel 1972. Pier Paolo Pasolini, invitato dal Circolo Turati, è a Milano. Deve intervenire sul tema della “Libertà d’espressione tra repressione e pornografia”. Con lui lo faranno: Morando Morandini, Giovanni Raboni, Marco Janni. A moderare il dibattito è chiamato Giancarlo Ferretti. La ragione del convegno è nel film di Pasolini I racconti di Canterbury. In quel periodo la censura non faceva altro che bloccarlo e sbloccarlo poiché taluni vi rilevavano una presunta offesa al comune senso del pudore, ipotesi prevista dall’articolo 529 del Codice Rocco. Letizia Battaglia era lì e c’era con la forza del suo obiettivo mentre il cosiddetto “movimento” contestava Pasolini. C’è chi ha definito “lacerante” quella situazione ma dalla stessa pare che Letizia Battaglia trovò le ragioni per diventare fotografa militante.
Realizzò numerosi ritratti di Pasolini, in B/N. Diciotto fanno parte della mostra Pasolini alla casa della madre. Il titolo, voluto dalla stessa fotografa, condensa anche il rapporto che il poeta ebbe con la sua terra e la madre. Quelle immagini, donate da Letizia Battaglia, resteranno lì, a Casa Colussi di Casarsa della Delizia (Pn). Altre notizie e una biografia della fotografa.
Alessia Orlando e
Michela Orlando