La natura morta

La natura morta ha nella lingua tedesca e nell’inglese un altro nome, molto più bello, molto più giusto. Questo nome è Still leben e Still life: ‘vita silenziosa’. È un quadro, infatti, che rappresenta la vita silenziosa degli oggetti e delle cose, una vita calma, senza rumore e senza movimenti (…) le nature morte rappresentano le cose che non sono vive nel senso del movimento e del rumore, ma che sono legate alla vita degli uomini, degli animali, delle piante; queste cose stanno sulla terra, su questa terra che respira intensamente la vita che è piena di rumori e di movimento. (Giorgio De Chirico)

Io non faccio ‘il teatro’ soltanto, ma lotto contro il freddo, la solitudine degli uomini, la durezza, la morte, soprattutto la morte e, ancora più di quella del corpo, di quella della tenerezza umana: l’infanzia che gli uomini stanno perdendo, la dolcezza, la responsabilità e la fraternità e anche la ribellione contro l’ingiustizia. Come si può ‘quasi da soli’ tenere viva la fiamma di tutte queste cose e in chi sta sul palcoscenico e in chi sta in platea? E poi mi sembrano così pochi… mi sento talvolta così disperatamente solo… (Giorgio Strehler)

LA NATURA MORTA? NON ESISTE

Un tipo giunge nei pressi di un corpo morto da poco con voglia di occuparsi di arti visive. Lo guarda. È ancora disteso davanti ad altri sguardi furibondi o teneri, in ogni caso indiscreti. Se avesse portato con sé una cornice senza tela e di sufficienti misure, sarebbe stato semplice capirne le intenzioni. E, infatti, potendola depositata opportunamente sul lenzuolo, inquadrando i cosiddetti resti mortali, avrebbe realizzato una Natura Morta, ovvero ciò che in fotografia si chiama Still – Life e che Giorgio De Chirico non amava. Preferiva la più profonda Natura Silente (volendo approfondire questo concetto: Giorgio de Chirico: Vita silente. Dalla Metafisica al Barocco, Edizioni Skira, di Maurizio Fagiolo dell’Arco).

Ritornando al corpo silente, si sta immaginando quello di Michelangelo Merisi, noto come Caravaggio. Molti fotografi, legati all’idea che l’essere umano non debba comparire nello Still – Life, non condivideranno la qualificazione attribuita al gesto dell’immaginario personaggio. E se, invece, avesse creato un dipinto caravaggesco, va da sé, sarebbe stata o no una Natura Morta? La domanda potrebbe apparire tendenziosa e ironica, nonché sinistra. Potrebbe forse sembrare che si voglia scherzare sul tema morte. In realtà è solo una scorciatoia per indicare il dibattito sulla definizione di questo genere di fotografia. Non a caso in alcuni scritti, nonché nel web, come in questo blog (ricco di foto ben realizzate), l’incipit riguarda proprio quella assenza. Vi si noterà, tuttavia, che qualche essere umano appare e non sfuggirà l’immagine di un ciuccio. A prima vista sembrerebbe vivo e vegeto ma se si clicca sull’immagine si scopre essere la foto di un dipinto. 

Tornando al Caravaggio, è risaputo che le sue pennellate erano capaci di rendere il dramma attraverso la luce. Speciale la sua attitudine ad analizzare lo stato umano complessivo, non solo quello corporeo. Questa capacità ha influenzato e influenza un numero straordinario di pittori. Non ne sono stati immuni neppure i fotografi e in tanti casi le loro opere lo documentano. Nel web ci sono molti esempi. Basta digitare fotografie caravaggesche.

Sin dalle prime opere di Caravaggio ci si imbatte in particolari di nature morte mentre una sola è l’opera completa: Canestra di frutta. Si tratta di un dipinto che emana tutta la potenza della luce ben usata e, con evidente bisticcio di sensi, si potrebbe ritenere torni a dare vitalità a quella frutta poggiata su qualcosa di irrilevante, contro uno sfondo anonimo eppure necessario.

La luce è il vero segreto, lo strumento magistralmente vibrato da Caravaggio. È lo stesso che risulta essere essenziale per produrre un buon Still – Life o una Natura Silente che dir si voglia, per intendersi. 
Nel momento in cui ci si mette all’opera e si sceglie l’oggetto da fotografare, si deve già pensare a quali soluzioni luminose si dovrà ricorrere. Ci si dovrà ricordare che con la luce si scrive e non si descrive. Pertanto, il lievito della fantasia sarà importante e utile. I meccanismi attraverso cui la luce colpisce gli oggetti-soggetti, dopo aver scattato un certo numero di foto, diventano intuitivi ma forse converrebbe ragionarci un po’ di più, rinunciando all’idea che le nuove fotocamere siano perfette e non richiedano l’intervento di chi le usa. È da dirsi con chiarezza: fidarsi solo delle fotocamere, per quanto celebrate siano, porterà a frustrazione da scarso risultato. 

Ciò non significa, ovviamente, che si dovrà creare un set complicato, con molti punti luce. In questo caso sarebbe difficilissimo gestirli e i risultati sarebbero ancora una volta pessimi. Basta iniziare con una luce principale a cui si aggiunge quel che riteniamo manchi. Potrebbe bastare una superficie riflettenti o più di una o un’altra luce e, via via, sino a essere soddisfatti: quel che vediamo è ciò che volevamo. 

Converrà escludere le luci forti, tanto da generare ombre disturbanti. Ovvio che sarà inadatto il flash automatico e finanche la luce del sole creerà problemi. Si potrebbe attendere l’ora giusta o l’atmosfera adeguata, ovvero le nuvole che per natura filtrano e diffondono la luce idonea per lo Still – Life. Ciò sarebbe chiaramente problematico, considerato che il tempo è da considerare come uno qualsiasi dei costi qualora si fotografi per professione. D’altro canto, per i fotoamatori, l’attività del fotografare è svolta nel tempo libero. Non coincide sempre con quello meteorologico. Va segnalato che trovare la giusta illuminazione non è complicato; questa operazione non è difficile. Tutti sanno intuire dove si trovi il sole solo osservando le ombre e si è in grado di analizzare il tipo di luce, se ci sia o meno velatura e così via. Questa esperienza personale è utile e conviene usarla nello Still – Life. Può tornare utile analizzare le foto della pubblicità per acquisire, anche intuitivamente, la professionalità degli specialisti. Non sarà impossibile capire quale tipo di set abbiano allestito e quali luci siano state preferite, se hanno utilizzato o no la luce esterna entrata da una finestra e così via. Tutto potrà essere utile per acquisire gli automatismi che faranno fotografare con piacere e senza senso di fatica.

Un altro passo. Occorrerà certamente diffondere la luce ma eliminando gli elementi di disturbo. Sono quelli che non devono entrare nel fotogramma e i riflessi non voluti. Nel web è possibile trovare le nozioni necessarie e apprendere i modi per dotarsi dello stretto necessario in economia. Importante, tuttavia, è prefigurarsi quale sia l’atmosfera che si intenda proporre all’osservatore, passando attraverso una composizione coerente. Fondamentale evitare marchiani errori compositivi sia in termini di accostamenti di colore che di forme. Va considerato, però, che a volte dai contrasti possono nascere gli stimoli che intendiamo segnalare. Importante è impadronirsi dell’oggetto, conoscerlo bene e ciò può accadere osservandolo ma anche toccandolo o addirittura modificandolo. Dalle sensazioni e da una analisi delle superfici potremo sapere come si comporterà quando la luce lo sfiorerà. È ovvio che ogni materiale si comporti diversamente. Si pensi a una superficie metallica, a uno specchio, a una stoffa … rifletteranno o assorbiranno la luce in maniera affatto diversa e, pertanto, sarà necessario scegliere quella adatta. Va da sé che in certi casi sono utili anche gli altri sensi umani. Si pensi al food. L’esperienza di assaggio della pasta e la cultura italiana ci insegnano che deve essere cotta al dente. È ovvio che non si potrà fotografare un piatto di spaghetti visivamente scotti. Si dovrà forse solo sbollentarli e questo salverà anche il loro colore. È in ciò che si individua la fotogenia dei prodotti alimentari che, talvolta, è difficile far emergere e si è costretti a ricorrere a prodotti finti, addirittura di plastica o ricolorati. 

Ritornando al concetto di Still – Life e aderendo alla impostazione meno restrittiva, è chiaro che potranno essere fotografati non solo i soggetti già accettati nel campo pittorico (dalla frutta ai fiori, dagli ortaggi agli oggetti che riempiono le case di ognuno) ma quel che conta di più è, appunto, la tecnica utilizzata per fotografare quel che non mostra più di avere vitalità. Tutto sommato è un compito che appare agevole proprio perché il soggetto è immobile. In realtà questa è una trappola tesa al fotografo che non potrà consentirsi di sbagliare l’impostazione della fotocamera. Per essere pronti al meglio possibile occorre, quindi, sapere esattamente cosa si intenda ottenere. Si vuole, quasi sempre, magnificare le caratteristiche del soggetto scelto che apparirà sempre bello, desiderabile. C’è un’altra alternativa: creare un’opera che dica ben altro, che vada ben oltre l’apparenza e, quindi, una foto d’arte. In entrambi i casi occorrerà: – ragionarci su; – eseguire il programma ideato, quasi sempre lo stesso, d’altronde; – provare sin quando il risultato sarà quello desiderato.

Tutto ciò potrebbe non bastare. Occorre sapere come l’osservatore leggerà l’immagine. La scelta del soggetto e il tipo di foto che si realizzerà, infatti, non possono prescindere dalla necessità di far vedere il risultato. È ovvio che se si fotografa un orologio, già al primo sguardo l’osservatore immaginerà di vedere le lancette o, in ogni caso, al solo sentire la parola orologio darà fondo ai suoi ricordi. Giungerà ben presto alla creazione di una immagine mentale che contiene gli elementi tipici dell’orologio in genere. Si potrebbe tentare di metterlo in condizione di immaginarli o darli per scontati. È questa la possibilità che consente di fare un ragionamento ulteriore, non limitato all’oggetto orologio, e che darà modo di produrre una foto artistica. D’altronde, accade la stessa cosa nei ritratti. Quando si osserva un volto il cervello esamina e memorizza i dati salienti e non i particolari. Bastano quelli per riconoscere i volti noti. Per questa ragione l’attitudine a selezionare che ci caratterizza può indurci in errore, così come può aiutarci in mille situazioni. Nell’effettuare il ritratto si potrà, quindi, anche nascondere alcuni aspetti ed enfatizzarne altri senza ledere la riconoscibilità. In questo senso, il ritocco in post produzione molto esteso, anche esagerato, non lede la possibilità di attribuire quel volto all’autentico essere umano che potrebbe adesso avere cinquanta anni in più sul groppone e tante rughe non più visibili nell’immagine realizzata. 

Per qualche consiglio pratico si può accedere qui. Per una esperienza interessante, fotografare un orologio, si può andare qui. Infine, se ne occupano vari blog. Uno è questo.

Accedendo all’idea che con lo Still – Life si intenda fotografare l’anima dell’oggetto da diffondere, ovvero le caratteristiche che si vogliano far immaginare e che debbono caratterizzarlo rispetto ad altri similari, occorre abituarsi a ragionare in termini fotografici diversi da altre esperienze visive. Occorre individuare la specificità del genere che è ben diversa, a esempio, dalla Street Photography. 

Si tratta di essere capaci di osservare l’oggetto ma anche di saper selezionare le proprie foto, cercandovi quel che avevamo in mente, pure simbolicamente, e che avevamo visto attraverso l’obiettivo, senza accontentarsi delle mezze misure. Ciò implica che si tratta di saper cogliere, in quel che si realizza, la ricchezza individuale, il proprio punto di vista che non è migliore né peggiore di nessun altro. È quello che ci caratterizza e può diventare lo stile personale. Altrimenti ogni foto in cui si ritraesse il medesimo soggetto sarebbe uguale a mille altre, senza alcuna rilevanza del ruolo del fotografo. 

In sintesi: si appronta una messa in scena, una rappresentazione che sintetizza la realtà sensibile-materiale e quel che ne percepiamo. Per evitare rischi di fraintesi, ovvero che l’osservatore colga aspetti che noi pensavamo non vi fossero, è necessario osservare ogni particolare del’’immagine scelta. Si inizia a farlo già dalla sessione di scatto ma prosegue anche dopo, considerato che è sempre possibile tagliare l’immagine o intervenire in post produzione per eliminare difetti con altri più sofisticati programmi. Con il Banco Ottico o le foto Medio Formato il compito sarebbe più agevole: la visione della scena è innaturale. Essa si presenta rovesciata e ben distinta dalla scena complessivamente inquadrata. L’occhio è indotto a osservare con attenzione. Con le fotocamere moderne, le reflex, la faccenda si complica e a volte non ce ne accorgiamo. La realtà che si para davanti, attraverso l’obiettivo, è la stessa che si potrebbe vedere a occhio nudo. C’è, quindi, l’abitudine a guardare senza osservare. Guardiamo il soggetto senza considerare il resto. Si innesta, in sintesi, la capacità selettiva del cervello. Dopo lo scatto ricorderemo solo ciò che abbiamo osservato attraverso il mirino, ovvero il soggetto che ci interessava. Sfugge tutto quel che di solito ci pare di aver solo intuito. In realtà è il subconscio che si è accorto del resto ma non lo abbiamo analizzato coscientemente. Ce lo ritroviamo nella foto e non ci piacerà. 

Un esempio generale, che vale per ogni genere fotografico: l’orizzonte, la linea dove il mare si congiunge con il cielo. Ci è parso fosse diritto. Così il cervello ha interpretato la scena e adesso è lì, nella foto, pendente! Non abbiamo considerato che la nostra posizione, il capo e quindi gli occhi in particolare, era storta rispetto al resto del mondo e ne paghiamo le conseguenze con un po’ di frustrazione. Avremmo giurato che tutto fosse al posto giusto … 

Per semplificarci la vita occorrerebbe cancellare le esperienze fatte con i formati standardizzati e creare progetti con tagli già perfetti. Purtroppo non tutti possono dotarsi di mezzi di Medio Formato, 6 X 6, e croppare in maniera perfetta (croppare: bruttissimo italianismo usato per dire tagliare e ingrandire), dopo aver abbondato nei margini. 

SEZIONE AUREA

Come insegnò Mario Livio: … se uno volesse trovare a tutti i costi un rettangolo aureo in un’opera d’arte gli basterebbe variare i punti di riferimento.

Pertinente, quindi, la domanda: Ma per dare fascino a una immagine, è sufficiente calarla dentro un rettangolo o in una spirale? È ovvio che se fosse bastato anche l’industria fotografica ci avrebbe messo del suo, producendo pellicole capaci di conferire quelle proporzioni, fidelizzando più facilmente gli acquirenti. Sussistono, quindi, spazi di libertà per attrarre l’osservatore anche senza applicare la cosiddetta Regola Aurea.

Alessia Orlando e
Michela Orlando

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