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Regole della composizione fotografica

Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi (Proust Marcel, tratto dal sito di Letizia Russo)

LE REGOLE DELLA COMPOSIZIONE FOTOGRAFICA E COME STRAVOLGERLE

La composizione dello scatto fotografico è tema che interessa a una platea (termine abusato in questo periodo, quasi come l’espressione “come dire” … mannaggia la morte, mannaggia) sterminata di fotografi, senza distinzioni tra professionisti e fotoamatori. È chiaro che il professionista gioca sul facile: l’esperienza gli suggerisce l’applicazione di regole stringenti o soluzioni creative spiazzanti, capaci di stravolgerle, attirando l’interesse dell’osservatore, senza ledere la soddisfazione dell’eventuale committente. Questi, il professionista, sa che nell’immagine migliore appaiono pochi elementi, solo quelli necessari alle esigenze del progetto. E se, invece, si ritrova con una foto potente per via di alcuni elementi presenti in scena e qualcuno di troppo a disturbare il tema centrale, senza più poter ripetere lo scatto? Si pensi al passante, il solito curioso in un set matrimoniale o al palo che sembra conficcato in testa alla sposa che, senza avvedersene, finalmente sorride rilassata, non contratta. Cosa fare qualora non sia più possibile ripetere lo scatto perché, a esempio, è passato l’angelo e ha detto amen, ovvero la Golden Hour è ormai andata via? È chiaro che il fotografo sarà chiamato a intervenire in post produzione. Il passante si potrebbe cancellarlo o semplicemente eclissarlo in un fuori fuoco o in ‘effetto zoominess’. A volte potrà bastare usare il colore selettivo per segnalare l’elemento che saprà emozionare e così via. Insomma: a tutto c’è rimedio. Rimane, tuttavia, la domanda più importante da porsi: perché accade tutto ciò? Quali sono le ragioni per le quali occorrerebbe rispettare certe regole di composizione fotografica? Risposta: perché la nostra cabina di regia, ovvero il cervello, avvalendosi dei soliti cinque sensi e magari di qualcun altro strumento celato nei meandri della psiche umana, usa selezionare ciò che vede secondo una scala di valori. In testa si pone sempre ciò che interessa di più. Per questo se io, maschio, che non capisco un’acca di composizione, vedo una bella donna nuda in mezzo a un battaglione di bersaglieri armati di fucile e pennacchio al vento, osservo lei e non il tenente che si è ficcato un dito nel naso, momento poetico di grande valenza che mi potrebbe far vincere un concorso fotografico mondiale. Dunque, che faccio? La metto bene a fuoco, collocandola nella cosiddetta ‘sezione aurea’, ovvero in quella che risulta essere al centro della foto immaginandola divisa in nove parti (approfondimenti qui) Nella medesima situazione, io femmina che non capisco un’acca di composizione, che combino? Va da sé: noto i bersaglieri e non l’avvenente miss Universo. In entrambi i casi è scattata la trappola, quell’inganno che si svelerà solo osservando l’immagine, cioè quando, purtroppo, la miss si è coperta e i bersaglieri danno ormai le spalle all’obiettivo, confusi nella polvere sollevata dai loro stivali anfibi, agitati convulsamente nella folle corsa verso la battaglia.

Converrebbe, quindi, non dare rilevanza a ciò che faccia passare in secondo piano il soggetto principale, magari restringendo la scena fotografata. Con questo espediente l’immagine sarà più pulita, ordinata, facile da leggere. In tal modo si teorizza una regola che precede l’eventuale post produzione, rendendola quasi inutile e magari limitata ad altri aspetti (piccoli tagli, la saturazione, il contrasto …). 

Può darsi anche il caso in cui possa essere interessante arricchire la fotografia di molti elementi compositivi. In tal caso converrà avvalersi di un amplissima profondità di campo. È il caso che si può osservare nella immagine al punto 7. Profondità dove si può anche conoscere il decalogo della buona composizione fotografica adottato dall’autore.

Ci si dovrà, in ogni caso, porre subito delle domande quando si fotografa, quelle necessarie per valorizzare il soggetto. A esempio: sarà utile collocarlo in un angolo prospettico che faccia emergere le sue curve, i suoi occhi, le gambe affusolate? Ci sono elementi in scena che possono aiutare come, a esempio, una pozzanghera il cui riflesso aggiungerà fascino o una malmessa porta in legno e architrave in marmo che fungeranno da cornice? Ci sono altri elementi che hanno la forza di indicare quale sia il soggetto che interessa? Come utilizzarli? Sono tutte domande che non possono essere improvvisate. Si potrà, quindi, anche creare le condizioni descritte, scegliere questo luogo anziché un altro e così via fino a preoccuparsi delle condizioni climatiche e dell’ora in cui si sceglie di scattare. In questo progetto ogni elemento sarà collocato nel posto giusto, nell’ambito di una valutazione che si potrebbe definire di economia compositiva ed estetica della foto che si vorrà produrre, immaginandola collocata in una serie di immagini che nell’assieme saranno capaci di completare il racconto in maniera soddisfacente.

Un esempio: se ci si trova a Napoli, in piazza Plebiscito, potrà mai bastare una sola foto per raccontarla come protagonista tranquillizzante e accogliente di un giorno qualsiasi? Che faccio se c’è una pattuglia di poliziotti, fermi, intenti a fumare mentre un turista si avvicina per chiedere dove si trovi il tesoro di san Gennaro? È utile ritrarli per contrastare l’idea che i poliziotti siano gli sceriffi cattivi e che a Napoli i turisti rischiano lo scippo? E quell’ombra minacciosa di un qualcosa che scende dal cielo, la fotografo oppure no? E conviene alzare l’obiettivo verso il gabbiano che si è fermato sulla statua equestre? Risposta (scontata): ma dipende dalle ragioni per le quali si fotografa, ovvio!

Si è deciso, quindi, fotografiamoli questi elementi. Ma come? Una visione di assieme renderebbe tutto marginale e tutt’al più farebbe vedere quanto è bella la piazza con il contorno degli edifici. Forse è meglio avvicinarsi o usare un teleobiettivo? Converrà applicare la regola dei terzi o vogliamo provare a stravolgerla, collocando i poliziotti in una posizione decentrata, nel tentativo di far capire che è quella la normalità, che ci sono ogni giorno e che stanno lì pronti a sorridere e dare indicazioni sul tesoro di san Gennaro? E lo sfondo? Che faccio, lascio o no spazio al cielo, segnalando quanto è bella quella nuvola o rischio di confondere lo spettatore? 

Tante domande, quindi, da porsi, abituarsi a porsi, ma nel web ci sono tanti esempi che possono suggerirne altre. Esempi di grande rilievo.

Come si può dedurre, si tratta di domande che servono a chiarire cosa significhi “composizione fotografica” per chi fotografa. Sono tantissime, vero, ma come fare a non porsi il problema di quale posizione assumere, oltre quelle tecniche, tipo la messa a fuoco, il tempo di esposizione e così via? È il prezzo che si deve pagare per creare una immagine adeguatamente dinamica e potente tanto da attrarre. Naturalmente è fondamentale conoscere quali siano le modalità di ‘lettura’ istintiva della foto. Se si propone una immagine con più punti di forza o addirittura con la saturazione dei fuochi (si immagini un gabbiano che sorvola gli scogli, il sole che sta calando dietro la linea dell’orizzonte, una barca dai bellissimi colori in primo piano, il volto di un bel bambino in un angolo, due che si baciano nell’altro …), dove si incentrerà l’attenzione? Il fotografo non saprà dirlo perché dipenderà totalmente dall’osservatore con una evidente conseguenza: il progetto non sarà andato a buon fine.

Si noterà anche come le domande siano eterogenee e disparate. Ciò dipende molto dal fatto che si dovrebbe fare un discorso diverso per ogni genere fotografico. Si pensi alla fotografia paesaggistica. È noto che si caratterizza per il fatto che il soggetto è immobile, pur non escludendosi elementi di contorno che ben possono essere in movimento. Che fare se, appunto, un gabbiano transita davanti all’obiettivo? Scattare oppure no? Anche in questo caso, dipende dal progetto. Se si vuole rappresentare un posto solitario, qualsiasi forma di vita potrebbe risultare incongrua e potrebbe danneggiare l’equilibrio delle linee di forza. E davanti a un orizzonte marino è obbligatorio o no rispettare la regola dei terzi? Che fare se un cumulo di nubi mosso dal vento sta intessendo un meraviglioso disegno nel cielo? Dare rilevanza al mare e rispettare la regola dei terzi o dare prevalenza a quel disegno irripetibile, collocando la linea dell’orizzonte sulla linea di forza orizzontale inferiore? Ecco, questo è uno dei casi in cui conviene trasgredire e lasciare il mare decentrato. Nessuno si lamenterà. Un ottimo esempio è nella prima immagine.

E che fare se di fronte si ha un paesaggio montano per evitare che appaia piatto? Va da sé che conviene attribuire il ruolo centrale alle famose montagne, posizionandosi in maniera da creare una diagonale come fulcro emotivo dell’immagine ma è chiaro che si rischia di farla apparire piatta. E allora? Allora potrà bastare individuare un elemento in primo piano, magari un casale, un tronco, una foglia … 

In questi casi, come in tanti altri, potrà essere utile avvalersi di tecniche molto note. A esempio quella in cui assumono rilevanza lo sfocato complessivo o delle zone fuori fuoco, nota come Bokeh. L’inquadratura si caratterizzerà attraverso le contrastanti situazioni in cui il soggetto principale sarà perfettamente a fuoco mentre quel che conta di meno, a esempio lo sfondo, sarà fuori fuoco. Potrà tornare utile anche la tecnica del Panning, quella usata quando nella scena appaiono elementi in veloce movimento. Tuttavia, al di là degli approcci dei grandi fotografi che converrebbe studiare e ricordare, la regola irrinunciabile è la libertà di sperimentare. Le foto migliori saranno sempre quelle meno scontate e originali. Ciò implica che conviene conservare la voglia di stravolgere le regole che si conoscono, anche se in certi generi fotografici è obiettivamente difficile non farlo. Si pensi al ritratto. Se in ogni occasione si ponesse il volto del bel tomo come soggetto principale al centro dell’immagine ci troveremmo di fronte a ripetizioni stucchevoli. Potrà bastare suggerire la posizione di una mano sotto il mento e la testa leggermente chinata, mentre lo sguardo sembra vagare verso un’altra direttrice, suggerendo l’idea che si stia osservando qualcosa di importante ma posta fuori scena, ed ecco che emergerà la prevalenza narrativa caratterizzata anche dalla posizione. Essa potrà far disegnare una diagonale inattesa. La potenza di questa situazione si potrà avvalere anche di un uso originale della luce attraverso cui si potrà, a esempio, enfatizzare lo sguardo attraverso i riflessi, o la mano e così via.

Alessia Orlando e
Michela Orlando

 

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