Il 24 Gennaio del 2005 lungo via Napoli a Capodimonte la camorra uccide Attilio Romanò, un giovane che nulla aveva a che fare con l’agguanto che era stato premeditato. Ucciso per errore. Scambio di persona. Informazioni sbagliate, somiglianza con la reale vittima designata. Queste le possibilità nelle prime settimane di indagini degli inquirenti.
Nel luogo dov’è stato ucciso erano posizionate tre telecamere per la sorveglianza di un negozio di telefonia. Tutte puntavano in direzione opposte a quella dell’agguato camorristico. Puntavano però in direzione di passaggio di venti testimoni. Di questi nessuno ha provato a fermare i killer che si sono dileguati a bordo di uno scooter. Nessuno ha avvertito le forze dell’ordine, il pronto soccorso o ha provato ad aiutare il giovane ragazzo accasciato a terra dopo i colpi che gli erano stati sparati contro.
Identificati nel giro di qualche giorno i testimoni dichiarano di non aver visto nulla. Omertà, paura. Qualcuno addirittura dichiara di “essere distratto dai suoi pensieri”. Come se cinque colpi di pistola non avessero richiamo quantomeno all’udito. Le indagini proseguono.
Il 2 maggio del 2012 arriva la condanna definitiva. La Terza Corte di Assise di Appello del Tribunale di Napoli condanna Mario Buono e il latitante Marco Di Lauro all’ergastolo per l’omicidio di Attilio Romanò. Viene assolto Cosimo Di Lauro per il quale i Pubblico Ministero Stefania Castaldi aveva chiesto la stessa condanna inflitta agli altri due killer.
Ciro Oliviero