1977 Giuseppe Russo e Filippo Costa Di 49 anni Ucciso a Corleone (PA)
Giuseppe Russo, tenente colonnello dei carabinieri, era tra gli uomini di fiducia di Carlo Alberto dalla Chiesa. Comandante del Nucleo Investigativo di Palermo, fu assassinato dalla mafia mentre si stava occupando del caso Mattei. L’omicidio avvenne a Ficuzza, frazione di Corleone, dove il militare stava trascorrendo le vacanze. Al momento dell’agguato stava passeggiando con l’insegnante Filippo Costa, pure lui ucciso insieme a Russo perché non restassero vivi i testimoni dell’omicidio.
1991 Renato Lio Carabiniere di 35 anni Ucciso a Soverato (CZ)
Il 20 agosto 1991 morì a Soverato il carabiniere Renato Lio, mentre si trovava ad un posto di blocco situato sulla statale 106 (una zona molto frequentata dai turisti). Mentre compiva i soliti controlli di routine l’agente fece fermare una Lancia Delta Bianca targata Milano.
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All’interno dell’auto c’erano tre persone: Massimiliano Sestito, 20 anni, ragazzo residente in provincia di Milano, Vito, 22 anni, e Nicola Grattò, 19 anni, entrambi cugini di Gagliano. Renato li fece scendere dalla vettura e chiese loro i documenti. Il collega, ottenuta la patente del guidatore, lasciò momentaneamente Lio da solo con i giovani per avvicinarsi alla macchina e controllare via radio che Sestino non avesse precedenti. Contemporaneamente fece segno al carabiniere di iniziare la perquisizione del mezzo. Massimiliano, avendo all’interno del bagagliaio un carico compromettente, si avvicinò al cassettino dell’auto, lo aprì, estrasse una pistola calibro 7.65 e sparò contro Renato che rimase ucciso sul colpo.
2011 Maria Concetta Cacciola Di 31 anni Uccisa a Rosarno (RC)
Maria Concetta Cacciola era figlia di Michele Cacciola e nipote del boss Gregorio Bellocco, capo famiglia di Rosarno, quindi appartenente ad una potente famiglia di ‘ndrangheta. A 13 anni iniziò a frequentare Salvatore Figliuzzi che la sposò più tardi solamente per poter entrare a far parte della ‘ndrina dei Bellocco.
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A seguito dell’arresto del marito, Maria Concetta fu costretta, insieme ai suoi tre figli, ad una vita priva di libertà come imposto dalle regole della ‘ndrina. Tuttavia, Maria Concetta iniziò una relazione sentimentale con un uomo conosciuto su internet: appena la cosa divenne di dominio pubblico, venne selvaggiamente picchiata dal padre e dal fratello per aver disonorato la famiglia. L’11 maggio 2011, Maria Concetta fu convocata dai Carabinieri di Rosarno perché il figlio Alfonso era stato fermato a guidare senza patente. Lì confidò al Maresciallo di voler parlare della sua famiglia ma di non poterlo fare in quel momento per paura di essere ammazzata. Tornò in caserma il successivo 19 maggio e poi il 23 e il 25, venendo ascoltata direttamente dai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Data la rilevanza delle sue dichiarazioni, gli inquirenti la inserirono nel programma di protezione e nella notte tra il 29 e il 30 maggio Maria Concetta, per amore dei suoi figli, che però fu costretta a lasciare alla madre, divenne testimone di giustizia, trasferita prima a Cassano allo Ionio, poi a Bolzano e infine a Genova. La nostalgia per i figli portò Maria Concetta a chiamare la madre, Anna Rosalba Lazzaro, e a rivelare dove si trovasse, per paura di non rivederli più. Il 2 agosto i genitori andarono a prenderla nel capoluogo ligure per riportarla in Calabria. Durante il viaggio il padre cercò di capire cosa avesse rivelato alla magistratura. Capendo di essere in pericolo, chiamò gli uomini del Servizio di Protezione affinché la andassero a prendere a casa di una cugina della madre da cui si erano fermati per la notte, a Cerredolo, in provincia di Reggio Emilia. Maria Concetta fece ritorno a Genova ma nei giorni successivi i genitori fecero pressioni su di lei per farla tornare a Rosarno, facendo leva sull’amore e la lontananza dei figli. In una telefonata del 6 agosto la giovane madre confidò alla sua amica Emanuela di vivere schiacciata tra la paura di essere uccisa al suo ritorno e il timore di non vedere più i suoi figli. La minaccia più ignobile che le veniva intimata dalla famiglia, infatti, era proprio questa: «Torna o non vedrai più i tuoi figli». Così, nella notte tra l’8 e il 9 agosto, Maria Concetta tornò a Rosarno e il 12 agosto incontrò due avvocati del clan, Gregorio Cacciola, cugino del padre, e Vittorio Pisani. Furono loro che costrinsero Maria Concetta a firmare una ritrattazione e a registrare un’audiocassetta. Il 20 agosto, dodici giorni dopo il suo ritorno a Rosarno, Maria Concetta venne trovata morta nel bagno di casa per aver ingerito acido muriatico. Tre giorni dopo i genitori si presentarono alla Procura di Palmi, presentando un esposto in cui accusavano le autorità di aver indotto al suicidio la figlia, costringendola a collaborare con l’inganno, producendo agli atti la lettera e l’audiocassetta nelle quali Maria Concetta ritrattava tutto quello che aveva dichiarato agli inquirenti, affermando di averlo detto solo per vendicarsi del padre e del fratello.