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Vittime innocenti: 18 aprile

  • 1991 Pellegrino de Micco, Michele e Salvatore Richiello
  • 1991 Giancarlo Conocchiella
  • 1991 Luigi Vigorito
  • 2011 Tita Buccafusca

1991
Pellegrino de Micco, Michele e Salvatore Richiello
Di 23, 45 e 12 anni
Uccisi a Villa Literno (CE)

Uccisi per errore Salvatore Richiello, il padre Michele e Pellegrino de Miccio. Un ragazzino di 12 anni, ucciso perché scomodo testimone di un agguato nel quale hanno perso la vita il padre e il fidanzato della sorella.

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È giovedì sera, sono le 19,45 e il triplice agguato si consuma in una stradina poderale nei pressi di un parco residenziale: Pellegrino De Micco, pluripregiudicato che da qualche mese convive con la fidanzata quindicenne incinta, era uscito poco prima da casa assieme al suocero Michele Richiello, netturbino a Pozzuoli, ed al piccolo Salvatore. I killer li hanno sorpresi mentre erano fermi a bordo dell’auto. Quaranta i colpi sparati dai sicari, con pistole calibro nove e con fucili a pompa. Primo a cadere sotto i colpi il netturbino, poi Pellegrino De Micco, falciato mentre tentava la fuga. Poi uno dei killer ha infilato la mano nell’abitacolo della «Y10» ed ha sparato contro il ragazzino quattro o cinque colpi.

1991
Giancarlo Conocchiella
Dentista di 34 anni
Ucciso a Vibo Marina (VV)

Giancarlo Conocchiella, dentista di Briatico, nonché giovane politico di belle speranze, fu rapito a Vibo Marina: tornerà a casa solo da morto quasi tre anni dopo quando il suo corpo senza vita viene ritrovato in un pozzo.


1991
Luigi Vigorito
Guardia giurata di 36 anni
Ucciso a Napoli

Luigi Vigorito è una guardia giurata assassinata da tre rapinatori perché aveva sbarrato loro il passo impedendogli di svaligiare la banca che sorvegliava.


2011
Tita Buccafusca
Di 37 anni
Morta a Nicotera (VV)

Tita Buccafusca era figlia di pescatori “per bene” e si innamorò a 15 anni di Pantaleone Mancuso, membro dell’omonima ‘ndrina, tanto da aspettare che venisse scarcerato per sposarlo e mettere su famiglia. Continuò ad amarlo nonostante fu proprio a causa sua che il padre pescatore venne arrestato, coinvolto in affari illeciti e dopo qualche anno vennero uccisi sua madre e suo fratello.

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Divenne prestanome delle ditte gestite dal marito, tra cui “Buccafusca Santa” ed “Helios Sas”, di cui risulta la maggiore azionista, adempiendo in maniera lodevole ai doveri di moglie di un boss della ‘ndrangheta. Nel 2010 divenne madre e pochi mesi dopo, accadde l’episodio che cambiò la sua vita: l’omicidio di Vincenzo Barbieri, noto narcotrafficante in grado di trattare con i Sudamericani per conto delle ‘ndrine del vibonese, nel centro di San Calogero con una raffica di colpi di mitra e fucili a pompa. L’omicidio era inserito nel contesto di un regolamento di conti tra le ‘ndrine e Tita teme per la sua famiglia: stando alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Andrea Martella, i soldi della cocaina a Nicotera Marina transitavano proprio nella pescheria a lei intestata. La paura la portò a voler cambiare vita: con suo figlio in braccio a poche ore dal delitto si presentò dai Carabinieri di Nicotera Marina, sollecitandone l’intervento: “Si ammazzano come i cani, mettete posti di blocco dappertutto”. Prima di iniziare a parlare, Tita specificò: “Voglio preliminarmente specificare che nella famiglia di mio marito da tempo hanno insinuato che io sia pazza e sicuramente mi aspetto che sosterranno ciò quando apprenderanno la notizia della mia scelta di cambiare vita”. Tita assumeva infatti farmaci stabilizzatori dell’umore ed era stata ricoverata cinque giorni in Psichiatria per reazione paranoide acuta il 12 febbraio 2008. Nelle testimonianze rese durante le ore trascorse tra la Caserma dei Carabinieri di Nicotera Marina e il Comando Provinciale di Catanzaro, Tita affermò di avere paura del marito e di voler essere protetta dallo Stato, arrivando persino a telefonargli implorando di seguirla nella scelta di collaborare con la giustizia. Assistita da psichiatri, la donna trascorse la notte in una struttura dell’Arma riservandosi per l’indomani di formalizzare il tutto e chiedere di essere sottoposta al programma di protezione. Tuttavia, alternava momenti di maggiore decisione a momenti di incertezza, accettando di sottoscrivere solo la prima pagina. Poi ebbe un repentino ripensamento, rifiutandosi di firmare il secondo foglio. Un ufficiale del Ros allora le ricordò che se non avesse firmato, avrebbe dovuto lasciare la caserma, con l’unico effetto di aumentare il suo stato d’ansia. Tita chiamò così sua sorella Antonietta e al termine della conversazione decise: “Non firmo, non firmo proprio”. Alle cinque del mattino la sorella raggiunse la Caserma e riportò Tita e il figlio dal marito. A un mese esatto, il marito, avvisò i Carabinieri che la moglie si era tolta la vita ingerendo dell’acido. Morì due giorni dopo all’Ospedale di Reggio Calabria.