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Capri Revolution

1914: tra le montagne di Capri, Lucia, giovane capraia incolta ma  intelligente e indipendente, entra in contatto con la comunità internazionale di Seybu, personalità intellettuale di spicco: pittori, musicisti, danzatori, liberi pensatori per cui praticano il nudismo liberatorio e vegetariani.

Ancora una volta il cinema del regista Mario Martone ci spiazza: autore della sceneggiatura, insieme alla sua sodale Ippolita di Majo, ha composto un film (ITA-FRA, 18) di grande fascino visivo e di complessi approfondimenti tematici. Gli autori riflettono su un grande punto nodale che è storico-sociale, ma contemporaneamente culturale, che è l’inizio del “Secolo breve”, il 900. In cui, alla vigilia di cambiamenti storici epocali (la I Guerra Mondiale, la Rivoluzione russa, ecc.), si sono gettati alcuni semi di metodo intellettuale, che hanno compiutamente fruttificato nei decenni a venire. Come ha dichiarato Martone, la comunità del film a Capri è realmente esistita: solo che è stato dal 1901 fino al 1913 quando morì Karl Diefenbach, il pittore e filosofo suo fondatore. Dalle loro idee, insieme a quelle elaborate dalla coeva comunità, che ispirarono anche lo scrittore Herman Hesse, di Monte Verità in Svizzera, e con cui erano in contatto, nacque la danza moderna e taluni spunti resi di attualità, anche come moda e prassi culturale giovanile con forti accenti liberatori, negli anni 60 e 70; e perfino in parte degli 80-90. Da queste fu influenzato il famoso pittore-intellettuale Joseph Beuys in tempi e momenti più vicini a noi. Insomma: una linea feconda di dibattiti su temi oggi di attualità: il progresso scientifico, contrapposto alle esigenze e al rispetto della natura, è davvero l’unica fonte di civiltà? Non è che nasconda delle insidie e dei pericoli anche peggiori di quelli cui cerca di dare soluzioni? La testi scientista è sostenuta dal dottorino progressista, peraltro favorevole “da sinistra” all’Intervento a fianco degli Austriaci, il bravo Antonio Folletto, visto nei “Bastardi di Pizzofalcone”; mentre quella “naturista” dal guru della comunità (l’attore olandeseReinoutScholten Van Aschat). Orbene: la parte del confronto tra i due, per quanto interessante e anche piuttosto illuminante, perché ne esprime il dissidio centrale, è quella più debole del film, perché risolta in chiave teatrale. Su questa dialettica si staglia la personalità e il ruolo di Lucia: la giovane, sensibile ma anche energica attrice Marianna Fontana, vista in “Indivisibili”. Lei per quanto rurale e ostacolata dalla cultura patriarcale dei fratelli, ma intelligente, curiosa, di forte indole, cerca una sua dimensione autonoma. E la troverà all’interno di quella comunità. Il tramite è proprio la sua naturalità, cioè essere e sentirsi parte integrante, radicata di quell’ambiente. E in questo percorso si scandisce la parte più bella e affascinante del film, che mette proprio l’isola “letta” e esplorata come dimensione unitaria, eppur variegata, vivissima, come coprotagonista. Capri è interrogata nel suo mistero. Fatto di ancestralità e di bellezza senzalimiti. Quale è stata oggetto di rapite, ma non infondate visioni: come ci suggerisce la bella epigrafe del film della scrittrice Fabrizia Ramondino (36-08): “(…) In questo mondo troppo conosciuto è l’unico luogo ancora vergine, e che ci attende sempre, ma solo per sfuggirci di nuovo” . Talune suggestioni pittoriche, specie in quegli ambienti domestici proiettati all’esterno, sono forse quelle di Vincenzo Migliaro e dei “vedutisti” posillipini-napoletani, e della “Scuola di Resina”,  proprio di quel periodo. Ma l’apporto ideativo-visuale di Martone è stato del tutto originale:ha fatto fluttuare di vita propria i paesaggi elusivi e irreali nella loro arcaica dimensione fisica. Ha fatto, cioè, al modo che gli è caratteristico, cinema di completa e non banale intellettualità: perché con rigore ha impostato l’impianto visuale, che è “tremendamente” bello senza essere esornativo, come veicolo/parte del dato tematico. Di capitale importanza è stato il contributo del suo Direttore delle Foto, l’eccellente Michele D’Attanasio (“Lo chiamavano Jeeg Robot”,“Veloce come il vento” e tanti altri importanti titoli), nonché dei suoi montatori, lo sperimentato Jacopo Quadri e Natalie Cristiani, che si è distinta in molti film del reale (documentari). E su quella visione complessiva era in sintonia profonda il vivere di Lucia. E il suo allontanarsene, come vediamo nel sottofinale, è anch’esso sospeso sul mare, come in una favola antica.

 

 

Francesco Capozzi

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