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Il sogno di Francesco

1209: la Regola Francescana non è accettata dalla Chiesa di Papa Innocenzo III: troppi e troppo forti sono i legami della fraternità francescana con Sorella Povertà; tali da farla ricadere in sospetti d’eresia. Il suo amico e confratello Elia da Cortona cerca di mediare. Ebbene si: ancora una volta ‘sti francesi mi hanno spiazzato. Questo film (FRA-BEL-ITA, 16), per quanto sia una coproduzione anche italiana, fondamentalmente è franco-belga: e due attori del film, bravi e importanti, i belgi Jérémie Rénier e Olivier Gourmet, sono di provenienza dei Dardenne. Il film affronta la complessa personalità del Santo d’Assisi, fuori dai “seminati” spettacolari  tradizionali cui siamo stati abituati da Zeffirelli in poi. Più che altro sembra rifarsi al “Francesco, giullare di Dio” (50) di Roberto Rossellini, di cui riprende quel senso di realismo assoluto, povero, percorso, però, da profonde linee di concentrazione concettuale. Siamo dalle parti di quello che può definirsi cinema religioso, che, in Francia, ha una sua più che rispettabile presenza: in cui gli elementi riflessivi si richiamano a tematiche valoriali molto forti e intense. Qui Francesco afferma che la povertà non va lenita: va abbracciata. Diventa una condizione di essenzialità: essa ci permette, attraverso il legame con gli ultimi, nelle loro specifiche e reali condizioni di vita, di avvertire la “gioia” dell’essenza di Cristo. E tutti coloro che “vi partecipano”, siano essi eretici, buoni e cattivi, “hanno diritto” ad esserci, ad essere “accolti” nella Fraternità. Questo è ciò che dice, nel film, il fare di Francesco. Esso è tutto concentrato sul vivere del Santo; sul suo porsi con gli altri: ed è “altro” colui che diventa prossimo. La Chiesa vedeva con estremo sospetto queste pratiche, che erano sorrette da teorie e letture evangeliche conseguenti: esse scardinavano alla base il suo potere: quella dimensione molto rigida e materiale che caratterizzava la Chiesa istituzionale e la sua struttura piramidale. E in questo, proprio in quell’epoca, la Chiesa ufficiale era osteggiata da vere e proprie violente levate di armi di varie sette contadine e popolari (dolciniani, Catari, Patari e simili eresie teorico-sociali). I due registi Renaud Fély e Arnaud Louvet, anche sceneggiatori, insieme a Julie Peyr e Elizabeth Dablemont, hanno posto al centro, all’inizio, la predicazione di Francesco, e le sue implicazioni: poi, pian piano esce il conflitto col suo più stretto sodale, frate Elia Da Cortona. E questo è il focus narrativo del film. Il rapporto tra la predicazione coerentemente esplicitata, che comporta la purezza di intendimenti, che in Francesco saranno seguiti fino all’ultimo con gioiosa, benché intransigente adesione nella sua pratica quotidiana; e le esigenze di far accettare la Regola alla Chiesa, che voleva “includere” Francesco, per renderlo “inoffensivo”, sterilizzandone la portata rivoluzionaria, rispetto alle più radicali ribellioni del tempo. D’altra parte, lo stesso Francesco si rendeva ben conto della complessità della situazione. E, di fatto, non ha mai rotto con Frate Elia: anzi, lo ha accolto dopo che lui era diventato il plenipotenziario della Fraternità, autonomo dallo stesso Francesco, e aveva cambiato la Regola, alterando la stessa sua volontà. Senza strappi, il film supporta due protagonismi: non due protagonisti; perché l’asse è sempre su Francesco. Ma gestisce con abilità la narrazione basata su questa dicotomia. Però non c’è alcun conflitto di tipo hollywoodiano: ma silenzi e “azioni” che si richiamano senza parlare. E spesso sono gli altri che parlano per loro. Francesco è, e vive con assoluta intensità, senza residui di sorta, il suo porsi al servizio del suo apostolato. Elio Germano, che recita in francese, ne dà una interpretazione (è il caso di dirlo…) sublime: perché penetra le sue parole di adesione giocosa, ma arguta e irriverente senza alcuna enfasi ed essere banalmente ribelle; calibrando le pause e i silenzi; aderendo al fare con sincerità: ma anche ponendosi come all’esterno in grado di capire ciò che avviene negli altri. E anche Elia, il bravo e intenso attore Jérémie Rénier, viene chiaramente “letto” da Francesco, in quel bellissimo dialogo con la volpe, che ne interpreta il suo lato carrierista: ma viene perdonato. Perché è questa la ricchezza del Santo di Assisi. Sarà invece Elia che farà fatica a perdonarsi. Sono dialettiche spirituali molto profonde: che non attenuano in nulla contrasti storici e fatti documentati: ma che permeano una visione stilistica originale che dà quell’aura di leggerezza a complessità, pur nell’evidente semplicità, ma non pochezza, costruttiva esteriore.

Francesco Capozzi

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