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La legge del mercato

Thierry, è operaio specializzato 51enne. Ha perso il lavoro e cerca affannosamente di rientrarvi, con corsi di formazione, stages di comunicazione, ecc.; dovunque anche a stipendio ridotto. Trova posto come Guardione in un Supermercato: guardiano e spione di tutti, clienti e impiegati. Il film (FRA, 14) è ambientato in una qualunque città della provincia francese, e ne ha il respiro: il regista, Stéphane Brizé (anche cosceneggiatore insieme al giovane Olivier Gorce) è di Rennes: ma potrebbe essere pure Parigi, perché tanto è una storia che dappertutto ha gli stessi identici risvolti. Ogni città, non importa quale essa sia, diventa lo scenario dell’universo concentrazionario, dove si sviluppa la sorda lotta per il lavoro: il disoccupato perde ogni identità, ogni sguardo al di fuori del proprio destino e della propria famiglia. Non si parla, non si comunica, ma si vive solo entro il perimetro di questa disperante ricerca. Thierry in più ha il figlio con problemi: ma, ciò nonostante, la sua vita familiare è, tutto sommato, felice ed equilibrata. Anzi: sua moglie e lui si sforzano di uscire da quest’angolo buio andando insieme, con palese reciproca soddisfazione, a scuola di ballo. La sceneggiatura, molto ben fatta, procede per ellissi: ma tutte rapportate, non solo  ad una situazione molto ben definita di partenza; ma anche ad un solido ancoraggio di osservazioni umane, pregnanti, attente, concentrate e coerenti da un punto di vista generale e ben differenziate da un punto di vista caratterial-psicologico. Soprattutto, facendo per nulla ricorso a dialoghi “esplicativi”, sono loro stessi che col loro semplice e assoluto “esserci” danno vita ai passaggi del film. Faccio qualche esempio: nel primo Thierry si sottopone ad un esame di gruppo in un corso di auto comunicazione in un colloquio: la voce del trainer, ma anche di molti interventi, è fuori campo: è il personaggio che si volta e cerca di seguire quanto è detto. Il volto è frastornato, ma si sottopone ad una dialettica collettiva sfibrante, ipocrita, umiliante: perché tutti sanno che è inutile. Ciò non è detto, ma è lasciato trasparire, con i semplici movimenti del busto, e con lo sguardo disperatamente in cerca di qualche segnale visivo positivo dagli altri. Il secondo esempio è il pranzo in famiglia: anche lì si parla pochissimo: ma non c’è disinteresse, c’è perfino il tempo di farsi delle battute tra loro e di sorridere, per alleviare quell’atmosfera buia che incombe. Ma lo sforzo amorevole tra i due coniugi, tra loro, e con il figlio, è ammirevole: e viene suggerito (anche qui) con la più evidente semplicità e linearità, facendo “stare” i tre e guardarsi negli occhi e fare gesti di una piana banalità quotidiana, ma silenziosa quanto intensa e densa di vissuti e di intimità, accettate e comunicate col solo linguaggio corporeo. Il terzo sono quelle terribili scene di auto-da-fé, quei processi cui sono sottoposti clienti e dipendenti del supermercato. L’ambiente è angusto, si vedono chiaramente le pareti che non solo chiudono, ma occludono e schiacciano il già condannato che deve solo “confessare” la propria “colpa”, esattamente come nelle Inquisizioni medievali, perché la loro colpevolezza è stata videoregistrata. Ma il pentimento non è remissione, ma fa invece implacabilmente scaturire una spietata condanna, comminata con impassibile distacco: che diventa perfino a morte. E queste per l’appunto, sembrano dire gli autori, sono le farisee leggi del mercato. Il nostro Thierry vi è presente sempre di profilo e di spalle: come se non esistesse come persona, ma solo come ruolo, come secondino e man in black (la divisa). Il film è costato relativamente poco; è stato girato in digitale ed economia (16 gg di ripresa), in ambienti reali e con attori non professionisti, tranne il protagonista, un magnifico Vincent Lindon, che, premiato a Cannes 15, finalmente ha lo spazio che merita. Tutti a paga sindacale o sugli utili futuri. Il regista ne ha fatto un’opera artisticamente molto ricca, complessa e raffinata. Partendo dal cinema di realtà, ha sviluppato un’estetica di profonda interazione cogli ambienti; ma, soprattutto con gli uomini che li abitano. Invitandoci a scoprire dietro queste mere cifre statistiche, che sono i disoccupati, il dramma di persone. 

 

Francesco Capozzi

 
 

Un film di Stéphane Brizé. Con Vincent Lindon, Karine de Mirbeck, Matthieu Schaller, Yves Ory, Xavier Mathieu. Titolo originale La loi du marché. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 92 min. – Francia 2015. – Academy Two uscita giovedì 29 ottobre 2015.

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