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Gone Girl, l’amore più bugiardo che abbiate mai visto

Avrete sicuramente parlato di Gone Girl (L’amore bugiardo), apprezzatissimo dalla critica, fiondatosi tra i migliori film dell’anno, anche se il 2014 è oramai giunto al termine. Diretto da David Fincher (Fight Club, The social Network, The Girl with the Dragon Tattoo) è ispirato al romanzo di Gilian Flynn, che ne cura la sceneggiatura. La realizzazione di questo lungometraggio, per il quale sono stati impiegati cinquanta milioni di dollari, si basa su un progetto ben preciso che parte dal 2011. Tra i produttori del film troviamo Reese Witherspoon, inizialmente selezionata come possibile protagonista femminile insieme ad altri nomi noti come Natalie Portman, Charlize Theron e la stessa Rooney Mara, interprete della Lisbeth Salander in The Girl with the Dragon Tattoo. Il ruolo di Amy Dunne, tuttavia, è andato a Rosamund Pike, affiancata da Ben Affleck che, pur di lavorare con Fincher, ha rinviato le riprese di un altro film.

Non mi sento di dire che avrei preferito qualcun altro nel ruolo della femme fatale che viene resa magnificamente dalla Pike, anche nelle scene in cui risulta quasi impassibile e con gli occhi vuoti, come presa totalmente dai suoi pensieri.

A tratti il suo ruolo mi ha ricordato Helena della serie televisiva Orphan Black, interpretata dalla geniale Tatiana Maslany, ma mi sono subito resa conto che tra i due personaggi, nonostante la loro complessità, c’è comunque una grande distanza.

Cominciamo a parlare della vicenda, che cercherò di sintetizzare. I protagonisti sono Nick e Amy, vivono nel Missouri e sembrano una coppia perfetta. Il giorno del loro quinto anniversario di matrimonio lei sparisce, lasciando impercettibili tracce di sangue e la casa sottosopra. La polizia indaga subito Nick, visto che ogni dettaglio sembra colpevolizzarlo. In realtà, fino alla fine, riusciremo a conoscere la verità, comprendendo i diversi tasselli del piano malato di Amy.

La trama può sembrarci a tratti banale, ma andando avanti sono parecchie le risposte inaspettate che ci vengono svelate, il tutto avvolto dalla fotografia di Jeff Cronenweth e le musiche di Trent Reznor e Atticus Ross, tutti vecchie conoscenze di Fincher.

L’amore bugiardo, titolo italiano, sembra quasi un ossimoro. Può l’amore, inteso nel vero senso del suo significato, essere bugiardo, vivere sulla menzogna? Probabilmente no. Nel momento in cui Nick si accorge della scomparsa della moglie sembra totalmente normale, tranquillo, a tratti sollevato, cosa che notiamo immediatamente in quanto si distacca dalla nostra idea di reazione nel caso in cui si perde qualcuno che si ama. Ed è questo ciò che colpisce, ciò che ci fa dubitare: tra i due protagonisti c’è mai stato realmente amore? Si gioca con i pensieri dei personaggi con Nick che chiede continuamente alla moglie come si sente, a cosa sta pensando, senza mai ricevere una risposta.

Amy Dunne, invece, è una persona indubbiamente disturbata, ma incredibilmente furba e intelligente. Riusciremo a comprendere meglio il suo passato tramite la lettura dei suoi diari, espediente di matrice letteraria che ci ricorda che la sceneggiatura è curata dalla stessa Flynn. Idealizzata dai suoi genitori che creano una collana di libri in cui il suo alter-ego è sempre un passo avanti a lei, Amy è il fulcro centrale della storia. Ce ne accorgeremo un po’ più avanti, quando la vedremo viva e vegeta nella sua auto, con il vento tra i capelli, pronta a svolgere i prossimi passi di ciò che ha architettato. Tuttavia qualcosa non andrà secondo i piani e lei sarà costretta a cambiare strategia (ed è qui che entrerà in scena Neil Patrick Harris, per gli amanti dell’attore) riuscendo comunque nel suo intento.

Gone Girl può sembrarci un film basato su un matrimonio fondato su valori che difficilmente si accostano all’unione di due persone che si amano. In realtà è molto più di tutto questo, perché vengono analizzati degli aspetti che possono farci riflettere. L’unico rapporto reale che possiamo trovare all’interno del film è quello tra Nick e la sorella gemella, sempre pronta a sostenerlo nonostante il comportamento poco maturo del fratello. La menzogna tra i due coniugi, filone costante nel film, continuerà anche quando le cose sembreranno risolte, creando giochi psicologici fondati su quanto l’uno conosca bene l’altro, nonostante tutto, e sul potere che Amy detiene su Nick. Vale la pena guardare questo film, che tuttavia risulta incongruente su alcuni aspetti e a tratti surreale, come nel momento in cui Amy torna a casa e contemporaneamente le indagini vengono annullate.

Ho apprezzato moltissimo il ruolo che giocano i media in tutta la vicenda, reso in maniera perfettamente realistica. Ci si focalizza sulla voglia di creare spettacolo, sulla creazione di giochetti che tendono ad annebbiare le menti e che fanno della televisione il leader dei nostri pensieri. È molto facile, ultimamente, assistere ad affermazioni palesemente costruite per creare un giudizio nella testa dello spettatore. Indiziati che vengono definiti già colpevoli dai conduttori televisivi e giornalisti di scarsissima professionalità che tendono a mettere il dito nella piaga intervistando con domande retoriche persone già di per sé immerse nella tragedia.

In conclusione il film è incentrato più su una malattia mentale che sulla menzogna su cui si fonda un matrimonio, un disturbo psicologico che viene captato solo da chi riesce a conoscere la situazione a trecentosessanta gradi, quindi anche dallo spettatore.

Anna Scassillo

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