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“Il primo uomo”

1957: Jacques torna ad Algeri, dove era nato e vive la madre, per delle conferenze all’Università. La città è teatro delle feroce lotta indipendentista algerina contro la Francia. Mentre cerca di rielaborare alla memoria affettiva la sua infanzia , si confronta in modo pacifista e autonomo con la guerra in corso. Tratto dal romanzo autobiografico, incompiuto e postumo di Albert Camus (1913-1960), e sceneggiato dallo stesso regista Gianni Amelio, il film è una coproduzione ITA-FRA-ALGER (2011). Lo scrittore-filosofo francese era un “pied noir”, cioè un francese d’Algeria: ma se pur non ne condivideva i metodi era un sincero democratico, favorevole all’indipendenza: perciò era visto con diffidenza sia dai nazionalisti francesi, ma anche dagli indipendentisti del FLN. Tuttavia la sua posizione, oggi, grazie alla riflessione che ne propone Amelio è più comprensibile nei suoi ideali pacifisti. Il regista anzi, ci offre il percorso psicologico-sentimentale di riflessione autobiografica su cui si innesta e mette radici la sua difficile posizione politica. Il suo ritornare alla memoria dell’infanzia poverissima, ma circondato dall’affetto burbero, severo ma profondo delle “donne di casa”, la dolce madre e la nonna, fa emergere e ne delinea lo spazio vitale della sua esistenza, ricco di ricordi felici e di innervature affettive profonde. E ci narra come, quella Algeria della sua anima, cui egli sente profondamente di appartenere, pur vivendo in Francia, sia la stessa contesa a colpi di sanguinosi attentati dai combattenti del Fronte di Liberazione, contro la cieca e inutile repressione delle truppe occupanti francesi. Questa sospensione tra le due dimensioni rende il film originale. La sua poeticità scaturisce dalla capacità, di descrivere, attraverso la regione dell’infanzia del protagonista, la geografia interiore dello stesso regista.

Ciccio Capozzi

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