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Dolce dormire

Papa Francesco, nella sua Enciclica Laudato si’, al n.18 introduce un neologismo spagnolo, rapidacion, reso in italiano con rapidizzazione e vuole esprimere la continua accelerazione nei cambiamenti dell’umanità e del pianeta, unita all’intensificazione dei ritmi di lavoro e della vita stessa.
Un’accelerazione del tempo, ma anche uno sfasamento tra un tempo sempre più veloce dell’organizzazione sociale rispetto ai ritmi lenti della natura e anche a quelli biologici autenticamente umani che richiedono calma, lentezza, tempi distesi e non contratti.
Purtroppo, viviamo in tempi in cui il tempo sembra non appartenerci più, diventando qualcosa che manca, ossessiona e domina rendendoci sempre più impazienti, insoddisfatti e, alla fine, disperati.
Tuttavia non ci si rende conto che il tempo manca perché ci è sottratto, ci è rubato e il ritmo ci è imposto dall’esterno da un disordine costituito di poteri impersonali e perciò tanto più pericolosi.
Il tempo del mercante e dei mercati prevale sempre più non solo sul tempo della Chiesa, sul tempo liturgico e della festa, ma sul tempo stesso dell’uomo e della natura. Il tempo monetizzato sta facendo sì che l’homo oeconomicus fagociti non solo l’homo religiosus, ma anche l’homo politicus e la stessa umanità nel suo complesso insieme al suo ambiente vitale. Tutto è ridotto a merce, dagli oggetti al lavoro, alle persone, inoculando le malattie dell’anoressia spirituale e della bulimia delle cose, la compressione dell’essere e l’esaltazione dell’avere; il tutto avvolto in un ritmo frenetico di vita dove non c’è più spazio per il pensiero, la riflessione, la contemplazione, per se stessi e per i rapporti umani.
Una delle ultime barriere che si sta cercando di abbattere è quella del sonno, per giungere alla fine ad un universo 24/7, dove tutto cioè funzioni 24 ore su 24 sette giorni su sette. Un libro che mi è capitato ultimamente di consultare è intitolato proprio 24/7. Le capitalisme a l’assaut du sommeil (24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno) di Jonathan Crary.
A partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, a ben pensarci, assistiamo ad un processo interno al sistema economico che non considera affatto il riposo e il recupero di forze, nemmeno in funzione della crescita e della redditività, ma sempre tende a far prevalere l’immagine di un’efficienza incarnata da un individuo costantemente occupato, interconnesso, interattivo, in perenne rapporto con i diversi mezzi telematici, flessibile e che passa da un lavoro all’altro, da una città o nazione all’altra, dall’occupazione alla disoccupazione, senza mai lamentarsi o fermarsi. Un individuo che non stacca mai la spina e che vive in simbiosi con il computer, il tablet, il cellulare android ecc., in una dissoluzione di tutte le barriere divisorie tra tempo privato e tempo professionale, lavoro e consumo, rapporti familiari e rapporti di affari. Non esiste pausa né respiro. Sempre connessi, sempre tesi, sempre di corsa, sempre in affanno.
In fondo, basta guardarsi intorno per vedere una buona parte di persone, e non solo giovani, che cammina, mangia, va a letto, e qualcuno anche a messa, con un aggeggio tra le mani perennemente interconnesso. Mi è capitato persino di vedere un gruppo di ragazzi e ragazze insieme al bar, allo stesso tavolo, completamente ripiegati sull’android, compresi nella comunicazione virtuale e senza realmente comunicare tra loro. Ho così capito anche che non è tanto assurda o paradossale quella pubblicità dove la mamma invita i figli (ciascuno nella sua cameretta) a venire a tavola servendosi del cellulare. Ultimo esempio poi, è il modo di vivere il cosiddetto tempo libero (spesso tempo perso), da parte di tanti giovani, concentrato soprattutto di notte – ciondolando tra bar, pub, discoteche e spesso senza farsi mancare gli eccessi di alcool, pasticche e violenza – in una totale alterazione dei ritmi veglia/sonno, che ci può far tranquillamente e tristemente affermare che la logica off/on (spento/acceso) è superata in uno stato permanente di sleep mode o stand by, cioè una sorta di limbo sospeso e di operatività ridotta, in cui non esiste più uno stato di benefico riposo totale sia a livello fisico che mentale.
Eppure, già nel XIX secolo Paul Lafargue rivendicava uno stile di vita diverso, rispetto al modello industriale, in un libro dal titolo fortemente provocatorio: Il diritto all’ozio, e tali tematiche sono state riprese da studiosi contemporanei più attenti all’uomo e alla critica dell’attuale modello economico-sociale, come Jeremy Rifkin e Serge Latouche. Tuttavia, non è un caso se l’ateo Lafargue, nel suo libro, fa partire le sue considerazioni dal Discorso della montagna di Gesù e in particolare dall’invito ad affidarsi al Padre che veste i gigli del campo e nutre gli uccelli del cielo senza che questi si affannino in una ricerca smodata del possesso (Mt.6,25-34). A ben riflettere non si tratta di una forzatura o di una strumentalizzazione perché, aprendo la Bibbia, troviamo continui richiami a vivere il tempo in modo completamente diverso e a valorizzare il riposo che è opera stessa di Dio (Gen.2,2).
Il riposo di Dio e in Dio, al di là della necessità materiale di recuperare la stanchezza della fatica, è momento di partecipazione alla stessa vita divina. Un imperativo categorico risuona, ed oggi è più che mai attuale: «Fermatevi e sappiate che io sono Dio! » (Sal.46,11).
La sacralità del riposo del sabato, dell’anno sabbatico ogni 7 e dell’anno del Giubileo è affermata fin dal principio. Gesù stesso afferma il valore del riposo e restituisce il senso originario del sabato quando la sua osservanza è diventata un pesante fardello di regole, ribadendo che è stato fatto per l’uomo (Mc. 2,27-28).
Di fronte a questo modo di vivere sempre di corsa, a un sistema che rincorre il profitto fine a se stesso, dove non sembra più esserci distinzione tra giorno e notte, lavoro, fatica e riposo, ferialità e festa, risuonano l’invito di Gesù «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» (Mc. 6,31), la costatazione di Qoelet: «Meglio una manciata guadagnata con calma che due manciate con tormento e una corsa dietro al vento» (Qo. 4,6) e il monito del salmista: «Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella. Invano vi alzate di buon mattino e tardi andate a riposare, voi che mangiate il pane di fatica: al suo prediletto egli lo darà nel sonno» (Sal.127, 1-2).
Come cristiani dobbiamo imparare a ritrovare e testimoniare la dimensione del riposo di fronte alla frenesia stressante, ansiosa e ansiogena della nostra società.
Un maestro di spiritualità Alessandro Pronzato, circa 50 anni fa, compose una preghiera, Signore insegnami a dormire, dove il sonno diventa occasione propizia per Dio di cambiare e convertire l’uomo che gli resiste durante il giorno.
Personalmente, mi ha sempre colpito l’episodio di Gesù che dorme tranquillamente sulla barca con il mare in piena tempesta frutto della sua totale fiducia nel Padre; nel contempo ricordo anche mio nonno che mi diceva che il dormire più o meno bene costituisce il termometro della nostra coscienza e l’indicatore del nostro essere in pace con Dio, con gli altri e con noi stessi.
Un’antica saggezza che trova riscontro ancora una volta nella Parola di Dio: «Temete e più non peccate, nel silenzio, sul vostro letto, esaminate il vostro cuore. Confidate nel Signore. In pace mi corico e subito mi addormento, perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare» (Sal.4,5-9).
In quest’epoca nella quale ci si ammazza di fatica e di stanchezza, si muore sul lavoro e per mancanza di lavoro, mentre stress e depressione sono ormai malattie sociali, dobbiamo riscoprire i martiri di Abitene che, nel IV secolo, affrontarono la morte in nome della festa e del riposo, dichiarando di fronte ai persecutori: «Senza la domenica, senza il giorno del Signore non possiamo vivere».
Allora, anche noi rivendichiamo e testimoniamo la santificazione della festa, il giusto riposo e il riposo del giusto e anche quando ci assale la tempesta della prova, del dolore, del male, della crisi, la paura per il presente o per il futuro, ricordiamoci del sonno di Gesù sulla barca.
Non andiamo a svegliarlo, ma mettiamoci a riposare accanto a lui che ci dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt.11,28).
«Signore, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (S. Agostino).
Buon riposo a tutti!

Franco Accardo

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