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Calabria. Politica e ‘ndrangheta, la caduta del principe Sandro

Durissimo colpo inferto ieri mattina dalla DDA di Catanzaro all’ex Sottosegretario Sandro Principe e la sua Rende, popolosa cittadina alle porte di Cosenza, che per anni ha rappresentato un modello di politica quasi efficiente. Un arresto eccellente, il suo, giunto al culmine di una indagine ha rivelato, invece, un sistema di collusione politico-mafiosa che avrebbe dominato la città per almeno 15 anni. Rende come il resto della Calabria, la ‘ndrangheta infiltrata nelle istituzioni a ogni livello.

L’accusa è gravissima: corruzione elettorale e concorso esterno in associazione mafiosa con il clan Lanzino-Ruà. Gli arresti sono stati in tutto dieci e, oltre a cinque esponenti dei clan locali, hanno coinvolto anche i colleghi Umberto Bernaudo, ex sindaco di Rende, Giuseppe Gagliardi, ex assessore comunale, Pietro Ruffolo, ex consigliere provinciale e Rosario Mirabelli, ex consigliere regionale all’epoca di Scopelliti, passato con nonchalance più volte da destra a sinistra, scampato per poco alle rielezione alle ultime regionali con la lista “Oliverio Presidente”.

Principe, che sta scontando la misura cautelare ai domiciliari, invece ha ricoperto ogni ruolo nella sua lunga carriera politica. Sindaco, consigliere e assessore regionale, parlamentare, sottosegretario al Lavoro e capogruppo del Pd in Regione. Per gli inquirenti, sarebbe stato soprattutto l’artefice di ogni risultato politico ottenuto dai fedelissimi del centro sinistra grazie all’aiuto dei suoi complici.

In pratica, gli atti parlano di una politica letteralmente piegata al volere della criminalità organizzata, che in cambio ha offerto pacchetti di voti con cui Principe e compagni avrebbero conquistato, per sé e per altri, ogni vetta.

Le indagini sarebbero state aiutate dalle denunce di alcuni dirigenti e funzionari comunali, ma soprattutto dai tre testimoni chiave, oggi pentiti e collaboratori di giustizia, Pierluigi Terrazzano, Roberto Violetta Calabrese e Adolfo Foggetti.

Tra le scottanti rivelazioni, ci sarebbe quella che vede protagonista la cooperativa di servizi “Rende 2000”, successivamente rinominata “Rende Servizi”, messa in piedi, secondo l’accertamento degli inquirenti, per garantire un’occupazione a persone legate, per affiliazione o parentela, all’asse ‘ndranghetista Lanzino-Ruà. Tra gli assunti anche lo storico boss Ettore Lanzino e il braccio destro del clan. Gli operai percepivano lo stipendio anche senza presentarsi sul posto di lavoro, e, in alcuni casi, anche quando questi venivano condannati. La cooperativa chiaramente era finanziata da soldi pubblici.

Ad ogni modo, Sandro Principe non è nuovo a questo tipo di controversie. Già nel 1992, durante un’operazione della Polizia, vennero ritrovati alcuni suoi manifesti elettorale nei covi di alcuni boss della Piana di Gioia Tauro e della Locride, ma quando il Procuratore Capo Agostino Cordova chiese per ben due volte, l’autorizzazione di procedere contro l’onorevole, gli fu negata.

Nello stesso filone di inchiesta, i Carabinieri di Rosarno lo fotografarono in compagnia del boss Marcello Pesce, nella saletta riservata del bar “Crystall” di Rosarno. A riprova del rapporto amichevole tra i due, ci sarebbero alcune lettere di raccomandazione inviate da Principe all’allora sottosegretario alla Difesa, per chiedere l’esonero dal servizio militare per il pregiudicato Galatà (fratellastro del boss Marcello Pecse). Il favore pare gli fu chiesto dall’allora consigliere comunale socialista di Rosarno La Ruffa, pregiudicato e cognato degli stessi Pesce. Ma la vicenda giudiziaria si concluse qualche anno dopo con la richiesta di archiviazione da parte della procura di Palmi.

 

 Francesca Lagatta