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Mia madre e l’evoluzione di Nanni Moretti

Piccola premessa: solitamente, quando guardo un film e so che dovrò farne una recensione, come in questo caso, prendo appunti. Non immaginatevi però una ragazza ricurva su un quaderno nel buio della sala troppo intenta a scrivere per prestare realmente attenzione a ciò che accade sullo schermo. Quando lo faccio, non distolgo praticamente mai lo sguardo dalla pellicola e questo ha come conseguenza una grafia ancor più confusa del normale e la ribellione involontaria a ogni schema di righe o quadretti. Questa volta, però, non sono riuscita a prendere appunti fino alla fine, perché scrivere con la mano tremante e la vista annebbiata mi risultava parecchio difficile. Non soffrendo di attacchi epilettici, ho con una certa lucidità compreso cosa mi stava succedendo: ero commossa, per essere riduttivi. In realtà ero un fiume incontenibile di lacrime. Il film in questione, che è riuscito a ridurmi in questa pietosa condizione, è Mia madre, il ritorno dopo quattro anni da Habemus Papa di Nanni Moretti, uno di quei registi che si odia o si ama.

La produzione di Nanni Moretti ha il pregio di crescere ed evolversi insieme a lui, diventando perfetto alter-ego dell’artista. Inizia con Io sono un autarchico ed Ecce Bombo, che sono lo specchio di un ragazzo disilluso e anche molto presuntuoso. Difatti, ancora al suo primo film, inveisce contro un mostro sacro come Lina Wertmüller, ma non solo: ce l’ha con la società, con la politica, con i media, il linguaggio… Insomma, il Moretti degli inizi è la piena espressione di quell’insoddisfazione rabbiosa tipicamente giovanile e la convinzione – molto spesso illusione – di poter cambiare le cose. Col passare degli anni, Nanni cambia restando lo stesso: è evidentemente meno irruento, perde parzialmente la frammentarietà tipica delle sue produzioni e la sua espressione artistica non è pungente e forzatamente grezza come una volta, ma nell’appena acquisita placidità resta il bisogno di addentrarsi nell’intimo dei personaggi e di analizzarne la psicologia, le dinamiche interiori. Sarà proprio per questo che Mia madre, di un Moretti ormai più che sessantenne, sembra essere il punto d’arrivo di quest’evoluzione, un prodotto totalmente agli antipodi rispetto alla prima produzione. È un film molto introspettivo, carico di emozione e un senso continuo e comune di incapacità.

Margherita, la protagonista sorella del personaggio di Nanni interpretata dall’omonima attrice Buy, si ritrova ad affrontare la malattia della madre e la sua implacabile corsa verso il capolinea. A questo si aggiungono i problemi sul lavoro (è regista alle prese con la realizzazione di un film) e quelli personali, facendo i conti anche con se stessa e con ciò che di sbagliato c’è in lei. Alla base della sceneggiatura – opera anche di Francesco Piccolo, David di Donatello per Il capitale umano – c’è proprio la paura del cambiamento, di andare avanti. “Rompi almeno un tuo schema, uno su duecento”, dice Nanni a sua sorella, che si rifiuta di accettare il destino della madre nel forzato tentativo di aggrapparsi alle certezze e rivestire sempre lo stesso ruolo. La storia, difatti, non si basa su colpi di scena ed evoluzioni narrative, ma sull’angosciante e spiazzante rappresentazione del dolore, dell’incertezza. Lo sviluppo è totalmente naturale, interiorizzato dallo spettatore come dai personaggi, e non è nient’altro che una presa di coscienza lenta e dolorosa.

Parte importante di questa interiorità è costituita dalle dimensioni del sogno e del pensiero: spesso gli incubi di Margherita irrompono nel racconto, così come succede con l’esternazione delle sue idee durante la conferenza stampa dedicata al film in realizzazione. Un conflitto continuo tra ragione e sentimento, tra l’inevitabile realtà e il suo rifiuto, che coinvolge non solo Margherita e il fratello Giovanni, ma anche la madre che non vuole convincersi di star morendo e un sorprendente John Turturro (qui Barry Huggins), interprete di un attore dalla carriera pericolosamente in bilico, che mente dicendo di aver lavorato con Kubrick, sogna di essere ucciso da Kevin Spacey e rifiuta l’idea di non riuscire a memorizzare le battute, impedendo alla stessa regista di chiamare lo stop.

Sono tutti personaggi persi, inadeguati ma caparbi, costretti ad affrontare il loro confuso ruolo nel mondo e un destino che non va loro a genio. Tutti tranne proprio il determinato e coraggioso personaggio di Nanni, che però ha dichiarato di sentirsi molto più vicino a Margherita che non a Giovanni. Questo a conferma di quello che tramite il suo cinema ha sempre dimostrato di essere: un uomo insoddisfatto, pieno di debolezze e incredibilmente comune. Mia madre è la quintessenza di questo percorso autobiografico, una completa immersione emotiva nella fragile personalità di Nanni Moretti, che nel suo progressivo sviluppo ha sempre dato ai suoi spettatori la possibilità di non fermarsi “al primo significato di un verbo che trovi sul vocabolario”, senza pesante retorica e con grandissima umanità. Assolutamente imperdibile, ma non dimenticate i fazzoletti.

Lucia Liberti

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