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Fotografare negli anni orribili

“Qui è il giardino che cerchiamo sempre e inutilmente dopo i luoghi perfetti dell’infanzia. Una memoria che avviene tangibile sopra gli abissi del mare, sospesa sulle foglie degli aranci e dei cedri sontuosi negli orti pensili dei conventi”.
(Ode ad Amalfi, Salvatore Quasimodo)

FOTOGRAFARE NEGLI ANNI ORRIBILI

Le regioni meridionali sono state molto spesso teatri di guerra e molte opere di arti visive lo documentano. Si potrebbe iniziare ad analizzarne il contesto da molto lontano, per esempio dalle occupazioni attribuite genericamente ai Saraceni. È un termine utilizzato a partire dal II sec. d. C. sino al Medioevo senza aver mai assunto un senso etnico, geografico, linguistico o religioso, come si può approfondire in una pagina Wikipedia dove si segnala anche che i baschi erano appunto definiti “saraceni” nella Chanson de Roland.

Di certo, agli inizi non c’era coincidenza con gli arabi. Qualche elemento per capire meglio si potrebbe trarre dalle opere pittoriche, scultoree e architettoniche delle epoche immediatamente successive.

Con un notevole salto temporale, si potrebbe giungere al 1862. È l’anno che assume un ruolo tragico per molti aspetti: da una parte non cessano le impetuose scorribande dei briganti e dall’altra il potere costituito reagisce tanto scompostamente quanto duramente. A migliaia i giovani lasciano i paesi natii o si apprestano a farlo, aspettando l’attimo dell’addio. Sono le forze migliori, quelle che potrebbero cambiare le sorti del futuro. È in un clima così acceso che viene pubblicato il libro di Marc Monnier “Notizie storiche sul brigantaggio nelle provincie napoletane dai tempi di Frà Diavolo ai giorni nostri”. Lo scrisse a Napoli e reca la data febbraio 1862. Venne pubblicato in versione italiana dalla casa editrice fiorentina Barbèra. Fu un grande successo editoriale. Il tema centrale del libro è la paura ed esalta anche le gesta di Garibaldi. Non si può negare come i due fatti, la paura e il successo di Garibaldi, siano storicamente provati e legati tra loro: il popolo vide in Garibaldi il salvatore, ma subì anche le intimidazioni di chi gli preparò il terreno. L’autore segnala anche il rapporto tra il brigantaggio con la camorra. In realtà è più evidente e meno opinabile il rapporto tra la camorra e il reame che la utilizzò assegnandole funzioni di polizia. Stessa cosa accadde successivamente al 1860, quando si ritrova Liborio Romano a capo della guardia cittadina. Era schierata in favore di Garibaldi. L’opera criminogena si conclude con l’eccidio dei briganti e la messa in fuga di chi era vicino ai singoli briganti attraverso la nota Legge Pica, del 15 agosto 1863, con cui furono dichiarate terre in stato di brigantaggio tutte le province del mezzogiorno, eccetto Napoli, Reggio Calabria, Teramo, Terra di Bari, Terra d’Otranto, ma queste due vi verranno incluse con un provvedimento successivo.

Il carattere politico del brigantaggio post-unitario è ammesso da molti studiosi e da molti altri è contestato. Tutto sommato anche lo stesso Leonardo Sciascia, nel distinguerlo da quello siciliano, ne riconosce la matrice ben diversa, con profili di politicità. Al libro vi è anche l’aggiunta del diario, noto come “giornale”, di José Borjèr.Era nato a Vernet in provincia di Lérida, occidente del principato di Catalogna. Ci sono incertezze sulla data di nascita e si oscilla tra il 1803 e il 1813. Quel che è certo: era figlio di un ufficiale che aveva fatto la resistenza antinapoleonica, fucilato nel 1833. Per ironia della sorte il generale Borjès andò in esilio a Parigi dove sopravvisse guadagnando di che vivere facendo il rilegatore.

Il generale spagnolo che affiancò i briganti nell’ultima marcia, era giunto sulla spiaggia di Brancaleone, in Calabria, sbarcando nella notte tra il 13 e il 14 settembre. Si spinse poi verso Prepacore, l’attuale Samo, in provincia di Reggio Calabria. Nel mese di ottobre giunse in Basilicata, nei boschi di Castel Lagopesole, dove si incontrò con Carmine Donatelli Crocco, noto come il brigante che sapeva leggere e scrivere. L’accordo tra i due prevedeva che l’esercito di briganti allestito e comandato da Crocco divenisse un esercito regolare. Ma Crocco non si fidava dello spagnolo e, in ogni caso, non mantenne gli impegni. Dopo molti successi, non riuscì a conquistare Potenza e si ritirò a Monticchio. Del fatto Borjès fece rapporto a re Francesco II, informandolo a Roma. Finì i suoi giorni ammazzato con una gragnola di proiettili. È la notte tra il sette e l’otto dicembre 1861; siamo in Abruzzo, vicino a Tagliacozzo, nei pressi della cascina Mastroddi. È una notte gelida, nella zona Sante Marie, in località La Luppa. Dà ordine ai suoi uomini di riposare. Ciò risulterà fatale: sono braccati dai bersaglieri sabaudi comandati dal maggiore Enrico Franchini. Gente del posto gli indica il luogo dove si sono rifugiati. Malgrado il generale e i suoi uomini si arrendano, i prigionieri vengono portati a Tagliacozzo e fucilati. Tragiche le modalità: Borjèr consegna la sua spada a Franchini e chiede di confessarsi in una cappella assieme agli altri prigionieri. Nel suo ultimo momento di vita, recita una litania in spagnolo e, poco dopo, viene fucilato assieme ai suoi uomini. I cadaveri dei suoi soldati vengono bruciati. Il suo, per intercessione di Folco Russo, principe di Scilla, e del visconte parigino di San Priest, viene portato per ordine del generale Alfonso La Marmora a Roma per ricevere solenni funerali.

Il poeta Victor Hugo lo cantò come un eroe, deplorando la sua fucilazione; mosse anche esplicite accuse al governo di Vittorio Emanuele II, contestando i metodi utilizzati.

Ovviamente i riflessi fotografici di questi eventi storici, come dell’ambiente in cui accaddero, si possono trovare anche nel web. Per esempio qui e nella photogallery dell’Archivio di Stato di Torino.

Un altro salto temporale, avvicinandosi un po’ alla contemporaneità: 1908, 28 dicembre, ore 5.21. Si scatena il finimondo a cominciare dalla esplosione di energia nel mare. È il cosiddetto terremoto calabro-siculo, in realtà un tsunami devastante. Si contarono almeno tre ondate dopo il ritiro delle acque, cui si aggiunsero i gravissimi danni inferti dagli incendi causati dalle tubature del gas. 

Lo Stato fu assente a lungo mentre già all’alba del 29 intervenne una squadra navale russa che si trovava ad Augusta. Intervenne con le navi Bogatir, Guilak, Makaroff”, Korietz, Slava e Cesarevic. Poco dopo giunsero le navi da guerra inglesi: Duncan, Euryalus, Sutley, Minerva, Lancaster, Exmouth. Il comandante russo Ammiraglio Ponomareff, mentre i quotidiani a Roma parlavano di pochi morti, apportò i primi soccorsi preoccupandosi anche dell’ordine pubblico. Le navi italiane giunsero molto dopo e finalmente la stampa stigmatizzò lo stato dei fatti. Intanto erano intervenute anche unità di guerra della Francia, della Grecia, della Spagna, della Germania ed erano giunte la Croce Rossa e l’Ordine dei Cavalieri di Malta … Solo nel 2006, in riconoscimento di ciò che fece la marina russa il Comune di Messina ha dedicato una via alla flotta zarista.

Di questo evento esiste pregevole materiale di approfondimento. A esempio qui che parte da un approfondimento geologico e qui.

Ancora un salto: 1980, 23 novembre, ore 19.32.52. È il terremoto dell’Irpinia, che in realtà interessò una zona amplissima. Colpì la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale. I morti furono 2.914; i feriti 8.848; gli sfollati 280.000. Lo Stato? Assente. Aiuti tardivi. Dopo decenni c’è ancora qualche prefabbricato cosiddetto leggero che ospita chi non ha mai avuto una casa. Non c’era ancora la protezione civile e questo potrebbe suonare come una scusante.

Un altro salto: 2009, 6 aprile, ore 3:32:39. Luogo: Aquila. Lo Stato? Forse fintamente presente a dire dalla situazione attuale, a oltre cinque anni dall’evento tragico. E gli altri Stati? Forse anch’essi fintamente presenti, eccetto il Kazakistan che ha finanziato il recupero dell’Oratorio di S. Giuseppe Dei Minimi ed è stato riaperto all’accesso del pubblico l’otto Luglio. L’opera si trova vicino la cattedrale di S. Massimo, nel centro storico della città.

Su questi due ultimi eventi nel web c’è solo l’imbarazzo della scelta ma si segnala anche un’opera di Andy Warol che prese spunto dalla prima pagina de “Il Mattino”. Titolava “Fate presto” e l’artista la propose con tre diversi approcci. La si può vedere qui.

Alessia Orlando e
Michela Orlando

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