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La brutta bestia e l’arte

“Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne”, da Artemisia Gentileschi, Lettere precedute da Atti di un processo di stupro, Eva Menzio (a cura di), Milano, 2004.

LA BRUTTA BESTIA E L’ARTE
NOTIZIE SU CAPODIMONTE E LA FUGA DI UN RE

Bruno Molajoli nacque a Fabriano, si laureò in Lettere a Bologna e si formò a Roma. Dopo esperienze giovanili nell’amministrazione delle Belle Arti, giunse a Napoli all’età di soli 34 anni e venne posto a capo della Sovrintendenza. Essendo nato nel 1905, un veloce calcolo ci dice che siamo nel 1939: in piena guerra. Non ci vuol molto a capire che se le bombe fecero molto male alla città, ai napoletani, altrettanto ne fece all’Arte e la faccenda durò così tanto a lungo che tutti si resero conto della complessa attività che Bruno Molajoli disimpegnò. Lo fece per salvare un patrimonio artistico non più riproducibile. Alla fine del conflitto si poté dedicare alla fondazione del nuovo Museo nella Reggia di Capodimonte. Divenne uno straordinario grembo per formidabili collezioni d’arte. Era ormai maturo quando giunse alla Direzione Generale delle Belle Arti e per nove anni, fino al 1970, affrontò le criticità del panorama nazionale: da Venezia alla pendenza della Torre di Pisa. La sua esperienza fu messa a disposizione sia nell’insegnamento universitario che nei convegni e nel recupero di complessi architettonici. dal canto della produzione libraria va detto che è sterminata: più di cento libri, in cui trattò temi di storia dell’arte, di città e personaggi. Il suo Notizie su Capodimonte Catalogo delle Gallerie e del Museo, L’arte tipografica. Napoli, edizione del 1960 (ve ne è almeno un’altra precedente, del 1958), si presenta con una copertina affascinante: Danae di Tiziano Vecellio. Il quadro, chiaramente allusivo ed erotico, giacché la protagonista sta per aprire le gambe per accogliere la pioggia dorata, che Tiziano derivò dalla perduta Leda di Michelangelo, è riportato anche nel corpo del libro (illustrazione n. 47), ed è conservato nella sala 19. Il libro è bellissimo, arricchito con 3 planimetrie, 215 illustrazioni in bianconero e 1 tavola a colori: La Trasfigurazione di Giovanni Bellini. È anche un ampio e puntuale report di ciò che si poteva ammirare in quella epoca. Immaginiamo che vi siamo state altre acquisizioni, ma troviamo estremamente utile e meritoria l’idea di Bruno Molajoli: il Catalogo rappresenta in pieno il valore complessivo delle opere che si potevano e si possono ammirare; il corredo fotografico integra con l’impatto visivo un elenco che è in sé sbalorditivo. Le Notizie, poi, che precedono il Catalogo, ci danno modo di rilevare l’entità dell’amore di Bruno Molajoli verso l’Arte, la Natura, Napoli, e l’abissale grado di approfondimento raggiunto. Questo l’incipit: “Notizie su Capodimonte”.

Il Palazzo di Capodimonte, dominante da un lato il folto ammasso del vicino bosco di lecci e dall’altro una delle più stupefacenti aperture panoramiche sul golfo di Napoli, è una costruzione grandiosa, massiccia, senza economia, come son tutte quelle che Carlo di Borbone promosse per dar nuovo volto alla capitale del suo regno. Su pianta rettangolare, con prospetti ritmati da imponenti membrature di grigio piperno a contrasto col tipico rosso napoletano delle pareti, l’edificio comprende tre cortili intercomunicanti, intieramente portici, aperti verso l’esterno con ampi fornici, tre per il centrale e uno per ciascuno dei laterali su le fronti longitudinali!” 

L’insigne fabrianese intesse magistralmente le notizie relative alla complessa vicenda che porterà alla costruzione della struttura ed elenca le acquisizioni che si succedono, a iniziare dalla Real Galleria di Parma (risalente a epoca immediatamente successiva al 1° febbraio del 1758, quando il regio ingegnere G. B. D’Amico comunicò al Re che dodici grandi sale al primo piano erano pronte a ospitare le opere d’arte provenienti da Parma). Narra, altresì, le visite dei grandi artisti e viaggiatori (Winckelmann, Fragonard, Göethe …); dà conto dei quadri portati via dal Re, in fuga verso Palermo, durante i moti del 1798 e ci dice dell’abbandono del Palazzo di Capodimonte, utilizzato solo per brevi periodi come sua residenza da Ferdinando IV, poi divenuto Ferdinando I, e sotto Francesco I, che nel 1828 costruì la palazzina nota come dei Principi. Così, attraverso una cronistoria attenta, Bruno Molajoli ci accompagna fino al 1948: la guerra è finita; il palazzo è pienamente disponibile e si tratta di scegliere cosa farne. La destinazione naturale corrispondeva alle esigenze e agli interessi della città: occorreva mantenere la originaria destinazione museale, assicurandone l’integrità insieme al parco. Andavano entrambi valorizzati, garantendone l’uso pubblico. In tutto ciò l’opera di Bruno Molajoli fu decisiva ed egli stesso riconosce anche il ruolo del suo collega Sergio Ortolani. È anche grazie a loro se a Capodimonte di possono ammirare opere di: Allegri detto il Correggio, Altamura, Bellini, Del Piombo, Luini, Botticelli, Bruegel il Vecchio, Lotto, Dossi, Reni, Dunouy, El Greco, Colantonio, Garbo, Raffaello, Mantegna, Caravaggio, Annibale Carracci, Artemisia Gentileschi, Goya, Martini, Masaccio, Signorini … È evidente come basterebbe uno qualsiasi di questi nomi, un solo loro quadro, per indurre a partire, visitare la città e andar via con un carico di emozioni da sogno. O forse da incubo, qualora ci si imbattesse anche solo in un fotogramma ideato da Artemisia Gentileschi, di quelli capaci senza parole di far sentire ancora l’urlo del suo dolore di donna violata.

Alessia Orlando e
Michela Orlando

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