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Il ragazzo invisibile: come scomparire di fronte agli americani

Il 2014 è per Salvatores sicuramente un anno particolarmente produttivo: dopo aver presentato a Venezia Italy in a day e commosso gli spettatori con la successiva trasmissione televisiva, ecco arrivare nelle sale Il ragazzo invisibile, la risposta italiana ai sempre più frequenti film di produzione americana ispirati ai noti supereroi dei fumetti. Eppure, a differenza del già citato lavoro del regista, che aveva inaugurato la sua ricca annata artistica, questo non convince fino in fondo. È palese che il documentario e la pellicola di fantascienza non siano minimamente paragonabili, per la differenza di genere come per gli intenti, ma ciò che più nettamente li distingue è che una delle due produzioni è perfettamente riuscita e purtroppo non sto parlando del film ora recensito.

Sia chiaro, non ho alcuna intenzione di demolire la pellicola di Salvatores, anzi: se siete alla ricerca di un po’ di sano intrattenimento di cui godere in compagnia al cinema in questo periodo festivo, vi consiglio di fiondarvi immediatamente in sala a vederlo, perché i 100 minuti del film scorrono piacevolmente e non impegnano, ma a parte una piacevole distrazione non rimane molto altro.

Questa versione europea degli storici eroi d’oltreoceano sembra più un omaggio che una competizione: si possono cogliere numerosissime citazioni a Batman, Superman e perfino allo Shining di Kubrick. Una scelta che di per sé non è particolarmente criticabile, in realtà, ma che sommata all’idea tipica dei teen drama di incentrare la sceneggiatura su un ragazzino impopolare vittima di bullismo fa di questo film una versione low budget dei colossal hollywoodiani. Sono completamente assenti gli elementi che avrebbero potuto determinare un’almeno apparente voglia di concorrenza.

La sceneggiatura è un intricato intreccio di momenti comici, sventure di giovani ragazzi che si sentono soli e – appunto – invisibili (si urla ancora al teen drama) e colpi di scena che, va detto, sono almeno loro riuscitissimi. La fusione di così differenti stili in un unico film fa però in modo che non si crei un’atmosfera omogenea e continua, che sia di ansietà o disimpegno, empatia o contemplativo distacco. Da spettatrice, sono stata portata al passare dal «Simpatica ‘sta scena» al «No, non dirmi che…» attraversando il «Povera stella» praticamente a ogni cambio di scena. Quindi no, il supereroe nostrano non ci piace, soprattutto se dall’alto dei suoi tredici anni finisce per contaminare il fantastico eroismo con drammi pre-adolescenziali fatti di cotte non corrisposte e bulletti poco convincenti. Insomma, va detto: va bene l’intento, va bene voler dimostrare di essere capaci di emulare i lavori americani, ma se il risultato finisce per essere un polpettone dall’effetto complessivo piuttosto casalingo è meglio non provarci.

So che non sono solita a recensioni tanto brevi ma non c’è molto altro da aggiungere, a parte che Fabrizio Bentivoglio e Valeria Golino sono come sempre autori di interpretazioni ineccepibili e si adattano perfettamente al vorticoso cambio di atmosfere di cui sopra. Poi, che altro… Bella fotografia. Hristo Jivkov con quegli improponibili capelli pare Sean Penn. I cattivi sono sempre russi, mannaggia al nucleare.
Va be’, Salvatores, ritenta. Sarai sicuramente più fortunato.

Lucia Liberti

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