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Fotografare la bellezza nel sociale

Non esistono grandi scoperte né reale progresso finché sulla terra esiste un bambino infelice (A. Einstein) Tratto da Fotografia sociale.

FOTOGRAFARE LA BELLEZZA NEL SOCIALE: FOTTERSENE DEI LUOGHI COMUNI

La soluzione più scontata aprendo gli occhi sul dolore degli altri è: chiuderli. È un modo ingenuo, istintivo per esorcizzare le proprie paure, per tentare di tirarsi fuori dai rischi, pensando “A me no, a me non deve accadere e non accadrà”. Subito dopo, fortunatamente solo per qualcuno, scatta l’ipotesi del meccanismo della spettacolarizzazione che fa audience. È la più deplorevole, quella che, come in altri casi, ti farebbe buttare la televisione dalla finestra e non lo fai, temendo di spaccare la testa a qualcuno. Molte domande sorgerebbero spontanee, quasi tutte di ordine politico ed etico ma dovendo parlare di fotografia ci si potrebbe limitare a chiedersi: “Perché?” Perché, a esempio, qualora si vedesse volare una farfalla senza una zampetta, si punterebbe l’obiettivo proprio su quell’organo mancante o sui colori delle ali? E perché mai, allora, se si vede una ragazzina cosiddetta down si dovrebbe tentare di impietosire, assimilandola ad altri canoni di conclamata bellezza, anziché evidenziare la dolcezza dei tratti del viso, la evidentissima bellezza del suo animo gentile, non aggressivo, emergente da mille sfumature del corpo? Una sola foto potrebbe essere una accusa esplicita contro un sistema che incentra tutto sull’apparire e non sull’essere. Basterebbe per dirci chiaro e tondo, ovvero Apertisi Verbis, come ci insegnano i Latini, che quella figura umana è bella e basta. Non è pericolosa e basta poiché non devono essere le differenze a far tremare, bensì le omologazioni verso il basso etico. Occorrerebbe fottersene dei luoghi comuni, di una cultura che misura la bellezza a metri, a chili, a centimetri delle zone basse e medie e che dà rilievo solo a queste censurando le altre. Si tratta, dunque, di tentare strade praticate da pochi, per cercare di rendere socialmente possibile una coscienza più aperta, finalmente senza limiti creati ad arte al solo scopo di favorire taluno o qualcosa a sfavore di altri/altre cose (un genere sessuale, una condizione economica o politica già favorita dalla sorte, una attitudine fisica invece di un’altra, una città o una nazione e così via). Non si tratta di mettere in campo un velleitario tentativo di scuotere animi o cercare di vellicare persone che hanno fatto scelte avanzate, tanto per mettersi a posto la coscienza, considerato che i problemi non ci toccano direttamente e ci sentiamo in colpa. Si tratta, molto semplicemente, di non precludersi la possibilità di vedere la bellezza ovunque sia e fotografarla semplicemente perché c’è. Se il mondo è vario la varietà va mostrata, senza infingimenti per mettere al centro la promozione dell’uomo e la sua dignità, tout court. Stop. È ovvio che si potranno anche far emergere i propri percorsi emotivi ma non occorrerà fare nessuno sforzo: scegliere di fotografare una condizione o un contesto cui altri non hanno pensato o che non hanno visto, più o meno colpevolmente, è già una manifestazione di sé, delle proprie scelte etiche. L’ora scelta per fotografare, la luce quindi, dirà molto più di sé che del soggetto. Se fotografi un arto che non c’è, se lasci emergere il moncherino che resta dopo l’esplosione di una bomba o di un petardo, in primo piano e ben messo a fuoco, potrai dire due cose: sono contro la guerra, sono contro i fuochi di artificio esplosi a capodanno. Ci saranno vari modi per farlo. Si potrà essere convinti che il messaggio nudo e crudo funziona di più e allora lasci vedere le ferite infette ma potrai anche pensare che scioccare non serva e allora darai rilevanza ad altro, per esempio alla delicatezza di una forma emergente da una cicatrice ben cicatrizzata, anche sul viso di una donna colpita dal suo ex … Perché quest’ultimo esempio? Ma perché la femminilità non ha a che fare solo con levigatezza della pelle e dirlo con una fotografia potrebbe diventare un imperativo capace di spostare in avanti la società. Anche la fotografia del nudo, quindi, potrebbe funzionare e aiutare una manifestazione di genere, non fosse altro che per tornare a dire: il corpo è mio e me lo gestisco io … anche se sono sovrappeso, se sono malata/o e voglio si parli di me anche in quanto malato poiché la malattia è un fatto socialmente rilevante. Più fotografie, approcci diversi, potranno alimentare i dibattiti, magari dividere ma è anche a quello che serve l’arte visiva, non certo ad appiattire le sensibilità, ad anestetizzare per dimenticare i problemi. Per tutto ciò non serve essere eroi o eroine da romanzo. Non ci dovrà essere differenza di approccio nel fotografare la leggerezza di una farfalla o il delicato battere di ciglia di un sieropositivo, nel ritrarre i delicati colori di un fiore, ancora bagnato dalla rugiada, o i colori cosparsi sul volto di un indigeno dell’Amazzonia cacciato per disboscare. Non si tratterà di fare solo una bella fotografia ma di raccontare in immagini. Le parole, magari, diranno altro ma le immagini sapranno dire o meno se la mente di chi ha scattato era libera da pregiudizi, se era mosso da intenzioni da appoggiare oppure no. Un esempio. Se il raro fiore fotografato è evidentemente stato reciso è chiaro che chi ha scattato andrebbe preso a pedate … Così, nel caso dell’indigeno, se la sua consueta fierezza appare mortificata da un oggetto estraneo alla sua civiltà, ormai arreso all’ineluttabile capitalistico, si potrebbe sperare in un fuori scena, in una freccia al veleno che provvidamente abbia colpito il fotografo … I propri talenti, quindi, potranno imporsi anche trattando temi sociali e per fortuna ci sono anche associazioni che si accostano alla fotografia padroneggiando opzioni e strumenti condivisibili, di altissimo profilo etico e tecnico. Una è l’Associazione Italiana Fotografia Sociale, dove si può leggere: “L’Associazione Italiana Fotografia Sociale afferma la necessità di promuovere la voce di chi sussurra invece che urlare, il sorriso in luogo del pianto, l’amore al posto dell’odio, le “soluzioni trovate” ai problemi che affliggono la comune esistenza umana. I nostri fotografi sono impegnati a promuovere una “fotografia positiva”, che faccia prendere coscienza alle persone che la civiltà è fondata sul bene, sulla solidarietà, sul sorriso. Civiltà molto spesso portata avanti da singoli e invisibili individui, che nell’umiltà e silenzio con coraggio e dedizione combattono faticose “battaglie” per il progresso dell’umanità”.

Un’altra associazione in cui si possono ammirare immagini impeccabili è la campana Tp, Traparentesi Onlus. Per altri versi, irrompono nel tema delle questioni sociali anche strutture che si occupano di fotografia pure per organizzare concorsi su specifici temi come, a esempio, sulla tragedia Torre piloti (concorso ideato e curato da Stefano Bucciero, in collaborazione con l’Associazione Promotori Musei del Mare Onlus e l’Accademia Linguistica di Belle Arti di Genova) e “Scatti Attivi” sulla cittadinanza attiva organizzato da Sei nell’ambio del progetto regionale per lo sviluppo del volontariato in Puglia.

Alessia Orlando e
Michela Orlando

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