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Non si può morire a 18 anni

I vicoli di Ercolano sono da sempre stati simbolo del folklore e della decadenza di questa città. Per anni alla ribalta della cronaca nazionale per lo spaccio di droga e la guerra di camorra, rappresentano il meglio e il peggio che questo paese può offrire.
Sabato i nostri vicoli, con le loro mille contraddizioni, sono tornati a fare notizia. Cronaca nera, purtroppo, di nuovo.

Il sabato mattina le due traverse Mercato, che corrono parallele ai lati del Museo Archeologico Virtuale, pullulano di gente, di voci, di colori, di odori. Hanno quel tocco di antico sposato alla frenesia moderna. Poi improvvisamente tutto scompare, come quando d’estate dal nulla scoppia un temporale. Le signore, prima intente a far la spesa, corrono via verso casa, le voci e i colori lasciano il posto al grigiume e al silenzio.

E questo silenzio, quasi surreale, è stato squarciato dalle urla, dall’odio, dal sangue.

Il sangue di un ragazzo, non ancora diciannovenne, morto nel corso di una rissa dai contorni oscuri. Un giovane emblema dei mille volti di questa città, un figlio di quella Ercolano ancora troppo difficile, dove i boss sono quasi tutti dietro le sbarre, ma l’odio continua a scorrere incessante. Eh sì, perché chi Ercolano la vive tutti i giorni sulla sua pelle lo sa. Esistono ancora oggi confini invalicabili, barriere di rancore che si innalzano ai lati opposti degli scavi. E se c’è chi nega questo stato delle cose, si sappia che non fa un favore ad Ercolano o agli ercolanesi, anzi. Nella migliore delle ipotesi non conosce il territorio di cui parla e non si rende conto di quanto, la mentalità camorrista, omertosa e piena di rancore, sia molto più difficile da sradicare della camorra stessa. Sì, quell’omertà di cui abbiamo dovuto sentire alla tivvù o leggere sui giornali di chi forse ha visto ma non dice nulla. Quella che fa male a chi Ercolano la vive ma che, purtroppo, è reale. Reale come la paura che è tornata a farsi sentire nelle strade, con un silenzio assordante che solo la pioggia ha potuto spezzare.

Ma ciò che dovrebbe far riflettere maggiormente è che a portare avanti odi antichi ci sia oggi chi, quando davvero le nostre strade erano il campo di battaglia di una cruenta guerra, era poco più di un bambino. Giovani, talvolta ragazzini, per i quali crescere a destra o a sinistra delle antiche rovine, diventa sufficiente a definire chi sono gli “amici” e chi invece i “nemici”. Figli, nipoti, parenti o alle volte solo ragazzi alla ricerca di modelli, che vedono nell’odio, che tanto bene la camorra ha saputo istillare, la risposta a tutti i loro disagi.

Un disagio giovanile e non solo, che in questa epoca sembra toccare indistintamente ogni angolo dello stivale, ma che, in un tessuto sociale come quello che caratterizza alcune zone di Ercolano, necessita di un’analisi più profonda e soprattutto di azioni concrete e mirate. Un disagio difficile da comprendere e faticoso da gestire, di fronte al quale troppe volte si è preferito guardare altrove. Per quieto vivere, per incompetenza, per incapacità, in troppe occasioni si è minimizzato e non agito. Non si è compresa la necessità di mostrare a questi ragazzi un modo diverso di stare al mondo, un mondo che non cominicia né finisce nelle strade di Ercolano. Li si è dati per persi troppo velocemente, senza lottare per loro, preferendo delegare a terzi un compito così importante ed impegnativo. Si è forse dimenticato il valore educativo dell’esempio e della cultura, o che, a quell’età già difficile in qualunque contesto sociale, sono il bisogno di essere accettati e di sentirsi parte integrante di qualcosa , a governare le azioni e i pensieri. Ed è ovvio e scontato che se, a 17- 18 anni, l’unico “qualcosa” significativo che la vita ti ha mostrato è quel sistema accattivante e all’apparenza più semplice, basato su odio ed illegalità, difficilmente , da solo, potrai essere capace di andare oltre.

Ciò che è accaduto nelle nostre strade non deve essere usato da nessuno, in nessun contesto, come uno spot. I ragazzi, i giovani di quella Ercolano difficile non sono persone di cui ci si possa ricordare solo dopo un fatto tanto grave, ma individui che, con il lavoro di tutti, possono trasformarsi da problema a risorsa. Questo grande cambiamento culturale richiede, però, l’impegno e il coraggio che in troppe occasioni sono mancati. Noi, nel nostro piccolo e nonostante tutto e tutti, abbiamo sempre creduto all’importanza di lavorare giorno per giorno al fianco di quei ragazzini, cercando di dar loro nuove prospettive ed alternative ad una vita fatta di violenze e di odio. Sì, perché se davvero la verità sarà quella che sembra delinearsi in queste ore, l’omicidio di traversa Mercato sarà stato un omicidio dell’odio. E l’odio è come un veleno che pervade ogni angolo del nostro corpo rendendoci schiavi. Schiavi di quel circolo vizioso che fa si che dall’odio possa generarsi solo altro odio. Ed è per spezzare questa catena che noi chiediamo a chiunque abbia visto di parlare e a chiunque abbia agito di consegnarsi alle forze dell’ordine.

Ma soprattutto chiediamo che, quando il circo mediatico avrà di nuovo lasciato le nostre strade, non si torni all’indifferenza ma ci si interroghi e si agisca. Si agisca per fare in modo che mai più per le nostre strade si possa morire a diciannove anni, quando la vita dovrebbe essere ancora tutta un libro da scrivere.

Tonia Formisano

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