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Siamo tutti un pò colpevoli

La parola comunità è forse tra le più belle della lingua italiana. Si parla di comunità quando ci si riferisce ad un insieme di individui che condividono origini, tradizioni, lingua e rapporti sociali in modo da perseguire dei fini comuni; è un concetto che riporta alla nostra mente una sensazione di calore, rappresentando un metaforico luogo in cui ci si sente protetti e ci si aiuta l’un l’altro.

Antonio Formicola faceva parte della nostra comunità. Potevi vederlo tutti i giorni nel suo negozio che si adoperava con i suoi amati fiori, cercando di salvare l’ attività familiare da una crisi che non ha risparmiato nessuno. Era una di quelle persone che ruotano nella tua quotidianità, quelle persone con cui tutti i giorni incroci lo sguardo mentre sei perso nei tuoi pensieri.

La notizia del suo disperato gesto è arrivata gelando una giornata d’ inizio estate. Una di quelle giornate, qui ad Ercolano, in cui puoi vedere turisti curiosi che da ogni parte del mondo vengono a visitare quelle meraviglie da noi troppo spesse mortificate.  

L’incredulità iniziale, lo sgomento, quel voler essere certi che si trattasse di Antonio, quell’uomo visto quasi tutti i giorni, sono stati solo l’inizio di un susseguirsi di emozioni che ancora oggi  si fa fatica a catalogare. Perché di suicidi, purtroppo in questa Italia, si sente parlare sin troppo spesso, ma quando accade nel nostro “micromondo” tutti, nessun escluso, abbiamo il dovere di fermarci a riflettere.

Se questo non fosse sufficiente ci sono le immagini degli ultimi attimi di vita di Antonio. Immagini che raccontano una storia, la sua storia, ma che purtroppo tanto dicono anche di ciascuno di noi. 

Il suo volto, disperato, ma freddo, narra l’angoscia e il dramma di un uomo perso nella convinzione che legarsi una corda al collo fosse per lui l’unica strada. Sembra di vederlo Antonio chiuso nel suo negozio a cercare di capire come risolvere i tanti, troppi problemi che affollavano la sua vita. Chissà quante volte l’amore per i suoi figli e i suoi nipoti lo avranno aiutato ad allontanare il pensiero di quell’unica strada possibile. 

Lunedì purtroppo tutto quell’amore non è stato sufficiente ad arginare la sua disperazione. Una disperazione che pare essere sfuggita a tanti, una disperazione cresciuta e maturata con il tempo e le sofferenze, una disperazione che una comunità vera non poteva non percepire.

Ed è la comunità che deve fermarsi. Siamo noi che dobbiamo interrogarci. 

Perchè se Antonio ha creduto, fino a togliersi la vita in modo tanto simbolico, di essere solo la colpa è anche un pò nostra. Noi che tante volte, presi da noi stessi, sottovalutiamo la potenza che piccoli gesti, come un sorriso o una parola, possono avere. Noi che troppo bene abbiamo assimilato una cultura individualista basata sul principio dell’indifferenza. 

Perchè una comunità non è solo un insieme di persone che abitano lo stesso posto nel mondo, una comunità è qualcosa di più. E’ solidarietà, è calore, è sostegno reciproco, è difesa del più debole. E in questo noi come comunità intera con Antonio abbiamo fallito.

Il clamore di questi giorni calerà, come avviene sempre, quando, per usare il gergo giornalistico, la notizia non sarà più calda. Gli occhi del mondo, ora puntati sulla nostra comunità, troveranno altri luoghi ed altri volti da scrutare, ma questo non ci giustificherà dalla riflessione. 

Non importa l’attenzione del mondo, siamo noi, ognuno di noi, ad avere il compito di comprendere dove la nostra comunità ha mancato. Dove il nostro impegno per migliorare la nostra città non è stato sufficiente, dove le belle parole sono rimaste solo aria donata al vento. 

Dopo la morte di Antonio, Ercolano non potrà e non dovrà essere più la stessa. Perchè a questo mondo esiste un unico modo di crescere sia come individui che come collettività: imparare con umiltà da propri errori.

Ora è il momento del silenzio. Non il silenzio amaro dell’indifferenza, ma un silenzio che significhi rispetto per il dolore e che sia ricco di costruttive riflessioni.

Radio Siani

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