Al Teatro Serra di Napoli un opera quasi distopica, immaginifica, che nella suo essere minimalista, pone le ambiguità della disumanità interposte a quelle della parola e del linguaggio. Francesca Fedeli e Gian Marco si interrogano sul futuro disallineato della modernità, dove la società è sempre più divisa e isolazionista, e il registro sonoro di un ricordo o del passato ci mette dinanzi a degli interrogativi cruciali, su come si stia evolvendo tutto intorno a noi, in maniera frammentata e vertiginosa.
La pièce teatrale “Una Voce Umana”, che vede impegnata Francesca Fedeli, già vincitrice di numerosi riconoscimenti a livello nazionale, e artista poliedrica e multiforme, denota tutto il carisma che essa rappresenta in scena, misto ad una fisicità, e al contempo una tensione narrativa, che fa compenetrare lo spettatore all’interno del suo racconto, tutto ciò è figlio di una ricerca e condivisione di lavoro, insieme al autore Gian Marco Ferone, di un opera altrettanto minimal (per quanto concerne la scenografia), ma molto simbolica, quanto evocativa. La questione, l’interrogativo, se non, il dubbio, che si pongono i due autori, è l’immenso ruolo che il “logos”, cioè la parola, interpreta all’interno della storia e della società moderna. Il linguaggio e la voce, seppur scarni e ridotti, si dipanano in un accurata ricerca di testimonianze che sgorgano dal passato, come domande o riflessioni esterne, come a rappresentare la disumanizzazione e una spettacolarizzazione di eventi del passato, come il caso Rampi o Moreschi. Le loro grida, ugole o gridi di aiuto, sono talvolta inquietati, aberranti, e ci si chiede se non siano stati, talvolta, dei gemiti buttati nel mezzo di un circo mediatico, o utilizzati per ritorni personali o per coprire nefandezze insabbiate. La frenesia, l’illogicità moderna, così cupa, terrorizzante, è un voice over, che pone la stessa voce in modalità muta, lo stesso umano rimane travolta dalla modernità. La bestia, in scena, è colei che corre, ma lo fa attraversando una società isolata, divisa, che non esiste, presa e ingarbugliata da un intelligenza artificiale, dominante e predominante, nei ritmi come nella quotidianità. E’ considerevole, ma anche disarmante, come l’autrice si inserisca alla perfezione in tematiche di attualità, così tristemente note soprattutto a livello tecnologico, il confronto, con il mondo artificiale, non fa altro che renderci più soli, e in conclusione ci rimane il punto interrogativo: cosa ci resta di realmente umano in questo futuro quotidiano?.
Chi sopravviverà, a tutto ciò, vedrà.
Sergio Cimmino