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Franco Staino: “Mio fratello Sergio, tra Aliano e la sua anima da fumettaro”

Dopo la presentazione presso la Sala Litza Cittanova Valenzi, al Maschio  Angioino di Napoli,  del libro postumo di disegni di Sergio Staino “Quel giorno che Jesus non si fermò a Eboli”, la mostra sarà visitabile negli stessi spazi partenopei sino al prossimo 10 Maggio . L’idea della graphic novel nasce nel 2019 proprio in un incontro tra il Sindaco di Aliano e Sergio Staino. Un lavoro prezioso , quello della Fondazione Valenzi e dell’Associazione di Bobo della dottoressa Bruna Pinasco Staino, teso a valorizzare ed anche scoprire ulteriormente, in ottica futura, l’immenso patrimonio sociale, politico e intellettuale dell’indimenticabile disegnatore, regista e fumettista toscano.

Quale era il legame che univa a livello personale e umano Aliano al grande Sergio Staino?

Per spiegare questo dobbiamo partire da nostro padre. Lui la Lucania l’aveva lasciata quando aveva appena 17 anni nel 1920. Carabiniere a Milano dove, come diceva lui, un maresciallo gli faceva da mamma. Dove riuscì a prendere la quinta elementare per leggere e scrivere il necessario. Nel paese solo i primi diciassette anni di una vita difficile con miseria e malattie che gli uccidevano i fratelli che continuavano a nascere e di 12 solo sei sopravvissero ai primi anni. Un ragazzo che a 5 anni veniva mandato da un pastore a fare il vice cane da guardia in cambio di un po’ di ricotta e pane. Poi la vita nel paese resa particolarmente difficile dall’invidia del fatto che questo cafòne piaceva tanto alle donne nubili e sposate. Mio nonno fu ben lieto quando trovò il verso di mandarlo come volontario nei Carabinieri. Era il suo mondo. Un carabiniere di ferro che da quel momento perse i contatti con il paese di Stigliano e con tutta comunque profondamente amata Lucania. Nei sessanta anni di vita che seguirono questa identità profonda lucana non venne mai a mancare nel parlare, nel pensare e nel sognare. Tutto così magico e profondamente radicato che Sergio con me di quella cultura ci siamo impregnati al punto di esserci sempre sentiti fiorentini di Lucania. Quando con Sergio si tornava in Lucania rivedevamo qualcosa che ci appartiene nel profondo. Poi con Aliano per Sergio è scattato anche l’elemento culturale. Quello sperduto paese materano che è riuscito a trovare una sua visibilità eccezionale attraverso una rivalutazione delle proprie risorse naturali e paesaggistiche. Sergio ne era entusiasta di questa realtà al punto di ritenere troppo invasiva la stessa presenza i Carlo Levi

Le tavole della mostra “Quel giorno che Jesus non si fermò ad Eboli”, si dividono tra narrazione ma anche arte provocatoria. Quale di questi due aspetti rappresentava al meglio la sua matita?

Come dicevo prima dal titolo e lungo il percorso del racconto di Jesus, Sergio ha voluto percorrere la strada della provocazione e non per quanto a lui più congeniale ma per dare un segno chiaro che la realtà è oggi profondamente mutata in meglio e sotto ogni punto di vista. Lui ha voluto dire che una volta passata Eboli si poteva vedere una Basilicata che certamente il quadro di Italia ’61 non rappresenta quello che è oggi e nemmeno quello che era. Quando i paesani salivano da noi a Firenze o noi scendevamo al Paese erano allegri e conviviali con delle punte di amarezza per chi era dovuto emigrare o per chi stava per emigrare. In casa Staino il problema della Basilicata è sempre stato quella della valorizzazione di un grande patrimonio territoriale, storico e culturale prima frenato e poi ignorato. Ma adesso ci sono dei segni molto incoraggianti ed è bene che Jesus cominci a circolare anche da quelle parti.

Nella mostra, troviamo molti riferimenti, da Carlo Levi, passando per il sud d’Italia sino alla religione. Quale era il rapporto di Staino con tutto ciò che lo circondava?

Credo che la testimonianza più completa sul modo con cui Sergio vedeva il Meridione e la Lucania in particolare. Si tratta del film che ha scritto e diretto “Cavalli si nasce”. Anche sul rapporto con la religione con tutto il suo agnosticismo trapela nella descrizione cinematografica del prete che potrebbe essere un caso diffuso di mala-fede. Di contro Sergio è stato molto vicino al pensiero di Papa Francesco che ha sempre considerato un caso raro di buona-fede. L’esperienza che fece proprio con Jesus con delle strisce per “L’Avvenire” gli fecero capire che il mondo cattolico non era pronto per accettare e tanto meno capire, la portata di un’apertura, viste anche le difficoltà che sta trovando lo stesso Papa Francesco. Per lui il mondo poteva avere qualsiasi colore e gli uomini qualsiasi fede. Per lui valeva solo la libertà a spese di nessuno ed esserne sempre, con tutti, un paladino indefesso.

Staino lascia sicuramente un patrimonio artistico legato al mondo del fumetto, ma a quello del giornalismo e dell’impegno. Come si tutelano i suoi lavori e il suo pensiero?

La sua opera di fumettaro, come amava definirsi, è ricca di tecnica espressiva, montaggio e un grande tratto, nonostante i problemi di vista. Sebbene abbia un valore didattico importante, sul piano conservativo è legata a un’epoca e a fatti specifici che il tempo riserverà solo a studi approfonditi. Ricordo con entusiasmo le strisce di Fortebraccio su L’Unità, che mi entusiasmavano ogni volta che venivano pubblicate. Oggi, rileggendole, anche io faccio fatica a ricordare a quali eventi si riferissero.

Per questo motivo, mi compiaccio molto del lavoro che sta facendo Bruna con l’Associazione di Bobo. Ritengo che l’iniziativa di alloggiamento e fruizione, garantita dal Comune di Scandicci, sia eccellente. Tuttavia, credo che il valore intellettuale, politico e di impulso sociale di Sergio sia ancora sostanzialmente da scoprire. È evidente che questo lavoro ha un grande potenziale, e se affrontato a livello istituzionale, potrebbe diventare una parte importante del nostro percorso verso il futuro.

Sergio Cimmino

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