Spaziale, in una città armonicamente unica. Joe Satriani è il guitar hero capace di virtuosismi oltre cielo. Napoli il suo tempio per una notte, dove mescola tapping, riff e arpeggi fast per i fortunati del Teatro Augusteo.
Dieci milioni di album venduti in tutto, una carriera trentennale, con 15 nomination agli Oscar, tenuti splendidamente in oltre due ore di spettacolo. Un live dalle tinte spaziali, tra universi chitarristici, che si mescolano, inebriano e intersecano come un caleidoscopico loop senza sosta. Echi di Deep Purple, ma anche blues elettrico, di “Claptiana” memoria, intrattengono il pubblico in sala, incrociandosi tra passione, suoni e sweep picking. Le radici non mentono mai e la sua italianità (i nonni erano piacentini e baresi), ne elevano la sua arte, talvolta capace di alienare, conducendo l’ascoltatore tra vasti mondi paralleli.
Satriani è anche America, la Route 66, le donne, i viaggi, la parte rusty del rock. Un alieno della sei corde, interscambiabile, mai eterogeno, in continuo moods variabile, flusso catalizzatore di sex-picking, la chitarra trasformata quasi in eroticità.
La terra è il suo totem, il suo spazio, come uno sciamano la protegge, la suona, la decanta. Il battito è la passione della madre, del mondo, i brani scorrono, da Sahara a Ice 9, Satriani costruisce quasi un connubio metafisico tra arte e musica.
Concettualmente astratto, tra groove e jazz, è un mosaico di colori, tavolozze dipinte. Un collage stilistico tecnicamente eccelso, confonde, trascina e incanta, come un capo tribù, capo-popolo per una notte stellata. Earth, chiama, Napoli è il suo universo.
Sergio Cimmino