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Vittime innocenti: 10 dicembre

  • 1969 Giovanni Domè e Salvatore Bevilacqua
  • 1976 Francesco Vinci
  • 1982 Francesco Panzera
  • 1988 Gianfranco Trezzi
  • 1993 Vincenzo Vitale

1969
Giovanni Domè e Salvatore Bevilacqua
Custode e manovale
Uccisi a Palermo

Giovanni Domè e Salvatore Bevilacqua, furono le vittime innocenti della cosiddetta Strage di via Lazio a Palermo. La vicenda rappresenta il più alto punto raggiunto dalla prima guerra di mafia e che sancì l’ascesa dei corleonesi contro Cosa Nostra. L’eccidio costò la vita a cinque persone ed avvenne negli uffici del costruttore Moncada: vennero ammazzati oltre a Giovanni Domè, custode dell’immobile, e Salvatore Bevilacqua, manovale che era andato a chiedere lo stipendio, un boss e due affiliati. Nel processo vennero condannati Provenzano e Riina.


1976
Francesco Vinci
Attivista di 18 anni
Ucciso a Cittanova (RC)

Francesco Vinci fu un leader studentesco e attivista politico della FGCI ucciso all’età di 18 anni per errore in un episodio legato alla faida di Cittanova iniziata nel 1964.


1982
Francesco Panzera
Professore
Ucciso a Locri (RC)

Francesco Panzera è stato un professore di matematica e vicepreside del liceo Scientifico Zaleuco di Locri, vittima innocente di ‘ndrangheta. Fu ucciso perché combatté lo spaccio di droga nella sua scuola. Ancora oggi non è chiaro chi furono gli esecutori del delitto.


1988
Gianfranco Trezzi
Imprenditore di 57 anni
Ucciso a Vigevano (PV)

Il 19 settembre 1988 Gianfranco Trezzi, piccolo imprenditore milanese che gestiva un’azienda specializzata in tubi e materiali siderurgici, uscì verso le sette del mattino dalla sua villa presso il naviglio Martesana per recarsi al lavoro nel suo ufficio a Vimodrone.

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A mezzogiorno i dipendenti della fabbrica si accorsero che l’uomo non era ancora arrivato nel suo ufficio e, presi dal panico, contattarono la moglie Mercedes e i figli Massimo, Paolo e Cristina che lavoravano nell’azienda da anni. Nel frattempo alcuni impiegati, dopo lunghe ricerche, avevano trovato l’auto di Trezzi presso il numero 4 di via Rubattino, con le chiavi nel cruscotto e i finestrini alzati. Ormai non c’erano più dubbi sul fatto che l’imprenditore fosse stato rapito ma i motivi del rapimento restano ignoti alla polizia di Milano, dato che l’azienda era in una difficile situazione economica e quindi ogni richiesta di riscatto era da escludersi. Ma pochi giorni dopo arrivò alla famiglia Trezzi una lettera cui era allegata una foto di Gianfranco con in mano il giornale del 22 settembre, dove si chiedeva per la liberazione dell’uomo cinque miliardi di lire. Alla notizia, la famiglia affidò a un legale l’incarico di mediatore con i rapitori e si chiuse in un rigoroso silenzio stampa. Ma il 26 ottobre ci fu un colpo di scena; presso l’Idroscalo venne trovato il cadavere di Valerio Affiliato, morto dopo essere stato percosso più volte con una mazza. L’uomo era già nel mirino degli inquirenti in quanto era stato visto nei dintorni della casa di Trezzi pochi giorni prima del rapimento. Dopo il delitto fu facile per la polizia risalire al nome di Bruno Mario D’Alessandri, un insospettabile orefice che, non solo confessò la sua partecipazione al delitto ma anche di essere stato uno dei capi della banda incaricata del sequestro Trezzi. In un lungo interrogatorio l’uomo confessò che l’imprenditore milanese era stato tenuto prigioniero presso la villa della Tana del Lupo, vicino a Cassolnovo, in provincia di Vigevano ma che era stato ucciso subito dopo la richiesta di riscatto. E, infatti, il 10 dicembre venne trovato nel giardino della villa, grazie alle indicazioni fornite da D’Alessandri, il cadavere di Trezzi, tagliato in una settantina di pezzi e chiuso in un sacco della spazzatura.

1993
Vincenzo Vitale

Commerciante di 54 anni
Ucciso a Napoli

Vincenzo Vitale viene colpito in un agguato il 6 dicembre 1993. A seguito delle ferite riportate, il commerciante morirà quattro giorni dopo in ospedale. Uomo onesto e coraggioso, Vincenzo non aderisce alla minaccia che gli imponeva di astenersi da un’asta pubblica, indetta dal comune di Pimonte, per l’assegnazione di un lotto di terra. Successivamente si scoprirà che l’appezzamento era occupato da persone legate alla camorra. L’episodio criminoso avvenne nel giardino di sua proprietà, dove Vincenzo trascorreva del tempo ogni mattino prima di raggiungere la sua attività di Pimonte.