Sandro e Luciano, due giovani camerieri a Roma, fanno amicizia: insieme progettano di andare a Cuba per crearvi un’impresa propria. Lì sbarcati, conoscono Nora che ne diventa la guida. Ma i loro destini divergono. Giovanni Veronesi, regista e sceneggiatore del film (ITA, 17), su Rai Radio 2 ha tenuto una striscia quotidiana, dello stesso titolo del film, in cui s’interrogava sulle ragioni e sulle conseguenze del fatto che molti giovani lascino l’Italia. L’argomentazione principale è che qui non trovano occasioni per realizzare le loro aspirazioni: anzi, si fa in modo che tali aspirazioni vengano compresse e annullate. In questo, il suo giudizio è purtroppo confortato dall’evidenza statistica, riportata periodicamente dalla stampa, che attribuisce al familismo (l’appartenenza a un dato nucleo familiare già stabilmente inserito nei gangli del potere in tutti settori della società) e all’invadenza della politica, col suo corredo di raccomandazioni e cordate, la massima responsabilità della sconfitta del merito e delle capacità. Da qui la base solida su cui è costruita, introdotta e “chiusa”, la storia dei nostri tre eroi. Il regista, da non confondere col fratello maggiore Sandro Veronesi, che è soprattutto sceneggiatore e romanziere (da una sua opera fu tratto il fortunato “Caos calmo”, 07), ha affrontato con intelligenza l’argomento. Insieme ai giovani sceneggiatori ma non alle prime armi Ilaria Macchia e Andrea Paolo Massara, ha estrapolato dalla mole di materiale umano da lui documentato, una vicenda che, nel mentre raccogliesse talune di quelle indicazioni, le individualizzasse e rendesse relative a tre personalità dai profili umani e psicologici ben identificati, al di là della loro appartenenza ad un’eventuale categoria sociologica. In più ha utilizzato in modi non banali, né narrativamente inerti le ormai non più insolite location cubane. Sono tre ragazzi dei nostri giorni, col loro carico di splendida energia, apertura alla vita e alla speranza; ma anche, e forse contemporaneamente senza che quasi ne fossero consapevoli, pervasi da malessere. Tale consapevolezza viene messa in luce lentamente e progressivamente nel loro confronto con quella realtà così nuova e diversa: è in particolare il caso di Luciano, che fa affiorare alla coscienza, stando in quella terra distante da casa, lontano da ogni remora e freno, una parte oscura di sé, che lo avvolge in una traiettoria di autodistruzione. Il personaggio si presenta, fin dall’inizio, posto in bilico su più strati comportamentali, che vengono man mano chiariti e approfonditi. L’attore Giovanni Anzaldo, attivo da più anni, e che si fece notare in “Il capitale umano” (13) di P. Virzì, ne dà una convincente interpretazione ordinatamente scattosa, ricca di echi di sofferenza familiare. Altresì di grande felicità ed efficacia è la rappresentazione di Nora: bella ragazza italiana, ha subìto una devastante operazione al cervello a seguito di un grave incidente, in cui morì il suo ragazzo: e lei è stata adottata, con grande naturalezza e semplice affettività, dall’intera famiglia del suo ragazzo scomparso. I postumi di quella tragedia le danno una dimensione di vita sospesa, per quanto fondamentalmente normale: anzi, intelligente e vivace, le consentono di avere una sensibilità più attenta e generosa. Sara Serraiocco, una brava attrice finora confinata in eccellenti, ma sostanzialmente sconosciuti film di nicchia, (cito “Cloro”, 15, di L. Sanfelice), offre un’interpretazione ricca e variegata, sospesa in un’identità dall’equilibrio difficile da definire, tra una forte fisicità e una raffinata e umbratile introspezione. Va sottolineato che questi due caratteri, sicuramente ispirati a biografie vere, sono definiti da un lavoro di sceneggiatura molto attento e di grande qualità e profondità psicologica di dettagli. Il terzo, colui che diventerà saggio, grazie all’apporto equilibratore di Nora, un’attenta riflessione sul fare di Luciano, è Sandro: egli riesce a trovare una sua via alla vocazione di scrittore che ne fa la voce guida (ma né invasiva né da grillo parlante) del film. Filtra i suoi incontri, come quello, ben modulato e divertente, coll’hemingwayano “Vecchio pescatore” della spiaggia, con sensibilità e apertura mentale, tale da trasformare, con eleganza e ironia, in vita vissuta con curiosità una situazione di diretta provenienza letteraria, che poteva essere molto ingombrante. L’intreccio tra i tre, e la comunità degli abitanti di Cuba che incontrano, rendono la narrazione aperta e in grado di offrici un mosso e colorato confronto coi luoghi dell’isola stessa. Esso risulta, però, lontano da ogni cartolinismo: è reso vibrante di vita, perché i nostri protagonisti vi portano la loro voglia di vita; con cui la jente de Cuba solidarizza con naturale propensione e complice simpatia; in modi non stucchevoli o “politicamente corretti”. E’ una dimensione del vivere collettivo sulle strade che forse caratterizza quella cultura. In questo scorrere dell’esistenza, si abituano anche il sopraggiunto padre di Sandro, un burbero ma affettivo Sergio Rubini e il sempre surreale Nino Frassica, che però riesce a trovare una sua adeguata e non stonata dimensione, pur restando sempre sé stesso (uno straniamento farsesco simil brechtiano). In questa descrizione ambientale, rigorosamente funzionale alla chiave narrativa adottata, è di grande importanza la fotografia, curata da Tani (Giovanni) Canevari. Già esperto operatore di Steadicam, in grado di passare dalla fotografia tv a quella cinematografica, coglie la pastosità barocca, ma immersa in una cromaticità marittima, delle ambientazioni del film. In cui gli esterni notturni raggiungono una dimensione di ombrosità, che rende umana e vivibile la stessa mancanza di energia elettrica; e in cui gli esterni solari hanno la dolce lontananza di un eden possibile tra noi. Insomma: un lavoro di alta e ricercata professionalità tecnico-artistica.
Francesco Capozzi